COGLI L'ATTIMO

Molte scuole di pensiero teorizzano sul significato della vita per il druido, considerandolo nella sua veste di filosofo, ha l'uomo un anima, perchè e cos'è, cos'è la morte?
L'archologia ci documenta che nelle sepolture funerarie dei Celti beni e suppellettili erano di corredo alla vita dopo la morte, per un'anima fin troppo corporea, immutata nelle sue sembianze umane, che conserva i propri bisogni e le necessità che aveva in vita. Dopo qualche tempo trascorso nel sepolcro l'anima sarebbe andata da qualche altra parte in un isola felice chiamata Altro Mondo.
Alcuni antichi studiosi greci e romani erano convinti che i Druidi condividessero il pensiero pitagorico dell'immortalità dell'anima 

Così scrive Rolando Dubini
Voi insegnate che le anime non cadono nelle silenti sedi dell'erebo o nei pallidi regni del sotterraneo Dite, ma che lo spirito passa a reggere altre membra in un altro mondo: la morte, se è vero ciò che insegnate, è il punto intermedio di una lunga esistenza". [Lucano Pharsalia I, 450-458 passim, Poeta latino, nasce a Cordova (Spagna) nel 39 d. C., figlio di un fratello del filosofo Seneca. Suicida nel 65 d.c. perchè coinvolto nella congiura di Pisone contro l'imperatore Nerone]
Clemente Alessandrino (Stromata I, XV, 70, 1), di Antiochia (ca. 330-395 d.C.), un grande storico romano, citando Alessandro, sostiene che Pitagora, di cui la tradizione ricorda i numerosi viaggi (anche a Massilia, l'odienra Marsiglia, colonia Greca nel sud della Gallia), dopo essere stato allievo di un Assiro, ebbe modo di perfezionarsi tra i Galati e i bramini.
"...I Druidi, uomini di intelletto elevato e uniti all'intima confraternita di Pitagora, erano immersi in indagini su cose segrete e sublimi, e senza curarsi degli affari umani, dichiaravano che le anime sono immortali". Secondo Ippolito (III d.c.), invece (Philos.I, 24) sono i druidi ad avere appreso la teoria pitagorica della trasmigrazione delle anime dal tracio Salmoside (Zalmoxis), servo di Pitagora stesso. In ogni caso le diverse tesimonianze attestano l'esistenza di un reciproco scambio intelletuale tra druidi e pitagorici, e questo rende di grande interesse la lettura, criticamente avvertita e posta in relazione con le nostre altre conoscenze che abbiamo del druidismo [per le quali si legga innanzitutto Francoise Le Roux, Christian J. Guyonvarc'h I druidi, ed. ital. Ecig 2a ediz. Genova 1990/2000]. (citazione tratta da qui)

LA FARFALLA DORATA

Per gli sciamani la materia è semplicemente “spirito condensato” come si forma la brina dal vapore riscaldato dalla prima luce dell’alba. Lo spirito assume una forma ovoidale, detto corpo spirituale, di cui una parte si condensa in materia, cioè il corpo fisico contenuto nella “bolla”, ed è “animato” da una parte immateriale che è per l’appunto l’anima. Dopo la morte fisica lo spirito ritorna in cielo, alla costellazione-genitrice.  L'anima è raffigurata simbolicamente presso molte culture in guisa di farfalla: così la farfalla subisce una serie di trasformazioni dal suo stadio iniziale di bruco tozzo e terricolo che si imbozzola in una crisalide e poi vola via come bellissima creature dalle fragili ali.

Così Enrico Calzolari scrive in merito al simbolismo della farfalla: "la farfalla è uno dei simboli che paiono più diffusi nelle culture dei popoli antichi. La si ritrova nei vasi, nelle brocche, negli amuleti, nelle statuette. Nel suo famoso libro “Il Linguaggio della Dea” Marija Gimbutas presenta la farfalla che sorge da un bucranio come epifania della Dea Madre in veste di Dea della Rigenerazione.. (continua)

L'ANIMA MUORE

All'opposto tra i sostenitori della morte dell'anima si levò la voce di Epicuro (IV sec s.C.).
Il filosofo greco teorizzò il materialismo dell'anima composta da atomi sottili (una scintilla di divino): bisogna credere che l’anima è un corpo sottile, sparso per tutto l’organismo, assai simile all’elemento ventoso, e avente una certa mescolanza di calore, e in qualche modo somigliante all’uno, in qualche modo all’altro. C’è poi una parte che per la sottigliezza si differenzia nettamente anche da questi, e per ciò piú adatta a subire modificazioni insieme al rimanente dell’organismo. Tutto ciò è provato dalle facoltà dell’anima e dalle affezioni, dai moti, dai pensieri e da tutto ciò la cui privazione è causa per noi di morte. E bisogna pensare anche che della sensazione la causa principale risiede nell’anima; non l’avrebbe invero se non fosse in qualche modo contenuta nel restante organismo; il quale, facendo sí che nell’anima risieda questa causa, partecipa poi dal canto suo di tale qualità accidentale grazie all’anima, non però di tutte quelle che di essa sono proprie. Per cui, separato dall’anima il corpo non ha sensazione, perché non ha tale potere in se stesso, ma lo procura a qualcos’altro [cioè all’anima] con esso generatosi, e questo qualcos’altro, attuatasi nel corpo tale possibilità di sentire secondo il moto, produce dapprima il fenomeno della sensazione per sé, la trasmette poi [anche al corpo] per il contatto e il consentimento, cosí come ho detto prima. Per questo, finché l’anima rimane nel corpo non perde la facoltà di sentire, anche se qualche parte di esso se ne stacca; anche se qualche parte di essa vada distrutta insieme al corpo che la contiene, sia in tutto, sia in parte, se [il rimanente di essa] perdura conserva la sensazione. Il rimanente corpo invece, sia che permanga tutto, sia in parte, perde la sensazione se si separa quella quantità, per quanto piccola, di atomi che serve a costituire la natura dell’anima. E invero se tutto il corpo si distrugge l’anima si disperde, e non ha piú quei poteri e quei moti e quindi perde anche la facoltà di sentire. Non si può infatti concepire come senziente [l’anima] se non in questo complesso [di anima e corpo], né che possa piú avere quei moti, quando il corpo che la contiene e la circonda non sia piú tale com’è ora, stando nel quale l’anima tali moti possiede. (Epistola a Erodoto, Opere, Einaudi, Torino, 1970)

LA RICERCA DELLA FELICITA'

"Ricordiamoci poi che il futuro non è del tutto nostro, ma neanche del tutto non nostro. Solo così possiamo non aspettarci che assolutamente s'avveri, né allo stesso modo disperare del contrario. Così pure teniamo presente che per quanto riguarda i desideri, solo alcuni sono naturali, altri sono inutili, e fra i naturali solo alcuni quelli proprio necessari, altri naturali soltanto. Ma fra i necessari certi sono fondamentali per la felicità, altri per il benessere fisico, altri per la stessa vita. Una ferma conoscenza dei desideri fa ricondurre ogni scelta o rifiuto al benessere del corpo e alla perfetta serenità dell'animo, perché questo è il compito della vita felice, a questo noi indirizziamo ogni nostra azione, al fine di allontanarci dalla sofferenza e dall'ansia. Una volta raggiunto questo stato ogni bufera interna cessa, perché il nostro organismo vitale non è più bisognoso di alcuna cosa, altro non deve cercare per il bene dell'animo e del corpo. Infatti proviamo bisogno del piacere quando soffriamo per la mancanza di esso. Quando invece non soffriamo non ne abbiamo bisogno."
(Epicuro Lettera sulla Felicità tratto da qui)

CARPE DIEM

Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi finem di dederint, Leuconoe (1), nec Babylonios temptaris numeros (2). Ut melius, quidquid erit, pati, seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam, quae nunc oppositis debilitat pumicibus (3) mare Tyrrhenum! Sapias, vina liques (4) et spatio (5) brevi spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida aetas (6). Carpe diem, quam minimum credula postero. Non chiedere, o Candida (1), (non è lecito saperlo) qual fine abbiano a te e a me assegnato gli dèi, e non consultare gli astrologi (2). Com'è meglio accettare quel che sarà! Ti abbia assegnato Giove molti inverni,
 oppure ultimo quello che ora affatica il mare Tirreno
 contro gli scogli (3)! Assapora e filtra il vino (4), tronca 
nel breve intervallo (5) una lunga aspettativa. Parliamo, e intanto fugge la vita funesta (6). Afferra l’attimo, credi al domani quanto meno puoi.

NOTE
traduzione riveduta da qui (con le note qui)
1) Leuconoe è nome di donna un “nome parlante”, da leukós, “bianco, candido”, e nous, “mente, intelletto”: quindi una Candida pre-illuminista
2) l’usanza, diffusa soprattutto a livello popolare, di consultare gli astrologhi di origine babilonese o caldea per conoscere il proprio futuro.
3) la pietra pomice e in particolare quelle rocce marine levigate e rese porose dall’azione corrosiva degli agenti marini. Si noti l’abilità con cui Orazio sintetizza in un dato spaziale (il mare Tirreno d’inverno, tormentato ed infastidito dagli scogli) la condizione esistenziale del trascorrere indolente del tempo dei giorni della nostra esistenza, come le onde sugli scogli.
4) liques: il verbo, da liquo, liquas, liquavi, liquatum, liquare, “filtrare, purificare”, indica l’operazione tecnica di schiarimento del vino facendolo colare per un panno di stoffa o per un filtro metallico colmato di neve. Orazio, in maniera ironica, affianca questa pratica al nome di Leuconoe (appunto, “colei che ha una mente chiara e candida”), alludendo al fatto che è meglio occuparsi della depurazione del vino piuttosto che interrogarsi su ciò che non si può conoscere. Inoltre il vino un tempo era raramente bevuto puro, mescolato con acqua e varie spezie
5) il temine usato è spazio: il breve spazio del tempo immediato
6)  Molti traducono "Mentre parliamo il tempo, invidioso (o avido), sarà già passato" ma quell'aetas  si riferisce al tempo nella sua continuità ininterrotta (come nel caso dei periodi della vita). Il “tempo” che fugge è cioè quello che riguarda la nostra intera vita. Perchè la nostra vita dovrebbe essere invidiosa? Piuttosto il senso è quello di funesto,  avverso o sfavorevole perchè il tempo gioca contro di noi secondo il capriccio imperscrutabile degli dei (o meglio secondo la filosofia dEpicuro nell'indifferenza degli dei verso le umane cose).

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(Cattia Salto)