La Festa di Sant'Antonio

Il 17 gennaio nel mondo contadino è l’inizio del Carnevale, nel calendario liturgico è la festa di Sant’Antonio

Nato nell'Alto Egitto a metà del III sec d.c. da ricchi genitori cristiani, Antonio rimase orfano all'età di vent'anni, diede ai poveri la sua parte di eredità e visse da eremita nel deserto combattendo più volte contro grandi tentazioni: secondo la tradizione il demonio assunse le più diverse forme bestiali per tormentare Antonio e farlo desistere dal cammino di santità. Una piccola folla di seguaci si riunì intorno al santo, per farsi dirigere nella vita eremitica (il primo abbozzo di fondazione monastica che tanta fortuna ebbe poi nel Medioevo).
Lo sviluppo del culto popolare del santo in occidente fu probabilmente dovuto alla sua fama di guaritore del "fuoco di S. Antonio". I malati si recavano in pellegrinaggio alla chiesa di Sait-Antoine de Viennois, dove erano conservate le reliquie del Santo, e dove nacque l'Ordine Ospedaliero degli Antoniani e venivano guariti dall'ergotismo (l'intossicazione causata dal fungo nella segale) grazie ad un unguento preparato con il grasso del maiale. L'associazione santo-maiale divenne così nel medioevo immediata.

Eppure c'è una caratteristica del santo che  trova una spiegazione solo parziale nella sua agiografia e cioè il fatto che sia diventato protettore di tutti gli animali domestici.

LA FESTA DEL GALLO

La Chiesa ha unito il culto del Santo con la benedizione degli animali, un tempo (e neanche tanto remoto perchè erano gli anni 1970 e mi ricordo la consuetudini nel mio paese del Vercellese- Piemonte) i sacerdoti andavano nelle stalle a benedire gli animali e mia nonna (una pia e fervente cattolica) posava su una mensolina della stalla l'immagine del Santo raffigurato fra ogni tipo di animale domestico.
Ma un rituale molto più oscuro soggiaceva a questa elezione del santo a Patrono degli animali della stalla e da cortile: l’uccisione degli animali "domestici" con la falce (o il falcetto), chiamata Festa dal gal, praticata dal Nord al Sud della nostra penisola e andata per lo più perduta sotto il Fascismo.

Il gallo è da sempre collegato alla potenza virile e metafora del sesso maschile, suo più recente sostituto il tacchino e gli altri volatili del cortile. Nel Gioco del Gallo veniva appeso ad una corda a testa in giù oppure seppellito in una buca in terra lasciando uscire solo la testa e preso a bastonate o colpito con la falce fino al distacco della testa dal collo. Vedasi la testimonianza documentata dagli ultimi partecipanti al rituale: a Calvello 1985 (vedi) e l'intervista a Curino 1994 (vedi)
A Calvello si sacrificava anche il coniglio e in ultimo l'agnello (sostituto del capretto, che rimanda al caprone, l'immagine medievale del demonio). Sono gli animali che hanno tentato S. Antonio, ma sono anche gli animali raffigurati ai piedi del Mercurio gallico (d'epoca gallo-romana). Valga per tutte la citazione di Giulio Cesare
Deorum maxime Mercurium colunt, huius sunt plurima simulacra, hunc omnium inuentorem artium ferunt, hunc uiarum atque itinere ducem, hunc ad quaestus pecuniae mercaturasque habere uim maximam arbitrantur
(Il dio che i Galli onorano di più è Mercurius: le sue statue sono le più numerose, essi lo considerano come l'inventore di tutte le arti, egli è per loro il dio che indica il cammino, che guida il viaggiatore, egli è il più abile ad assicurare i guadagni e a proteggere il commercio (vedi)

Mercurio gallico

A volte Mercurius ha la barba, oppure indossa un ampio mantello con cappuccio. In certi casi è dotato di tre falli, ha tre teste, o è seduto a gambe incrociate. Queste letture riflettono probabili assimilazioni del dio classico con una o più divinità celtiche. (tratto da qui
Nella statuetta rinvenuta a Schwarzenacker (presso Homburg, Saarland, Germania) Mercurio è nudo con un mantello sulle spalle ha in mano il caduceo e in capo il petaso e ai piedi un gallo, un cinghiale e una capra. L'associazione al Lug celtico partì probabilmente dalla Francia da dove ebbe origine la venerazione del santo (e in cui giunsero i suoi resti).
Ciò che mi preme qui sottolineare è una evidente sovrapposizione di un signore degli animali che presiedeva un tempo ad un rituale della fertilità. 

Per molti aspetti l'Antonio eremita (nel deserto prima e nei boschi poi quando sbarca in Francia) assume molte caratteristiche dell'uomo selvatico, entità boschiva della mitologia antica, capro espiatorio della comunità, lo sposo animale, che presiede o partecipa alla Caccia Selvaggia. Emblematica a mio avviso la statua tricefala dell'uomo selvatico a Bressanone, una rielaborazione del Mercurio gallico: nel crocevia cittadino tra i Portici maggiori e i Portici minori è raffigurato un uomo peloso con un lungo bastone. La statua fatta risalire da alcuni studiosi al 1500 è dotata di poteri magici dalle bocche pioverebbero monete d'oro -ma solo a mezzogiorno del venerdì santo! 

COSA BOLLE IN PENTOLA?

Il Gioco del Gallo, il Gallo di Sant'Antonio, consistente in un violento rituale di uccisione di uno o più animali sacrificali (principalmente il gallo ma più in generale alcuni animali da cortile o il domestico gatto) avveniva in concomitanza con la festa di Sant'Antonio o era parte dei giochi di Carnevale; riecheggia nelle "giostre con gli animali" di medievale memoria - si veda la Giostra del Pitu ancora praticata a Tonco (prov di Asti). Eccolo documentato nella foto scattata nel 1952 a Montemurro (PZ) in occasione della Festa di San Rocco, con la denominazione di gioco del "gallo sepolto". Il pennuto vivo è seppellito in una buca e alcuni uomini gareggiano tra di loro cercando di staccare la testa del gallo con un bastone.
Come testimoniato da Eugenio Gianadda Geniulin (1912-2007), sindaco di Curino (Bi) nel secondo dopoguerra, alla vigilia di Carnevale i giovani compravano (o ricevevano in offerta) un bel gallo e a turno bendati cercavano di tagliargli la testa con un bastone: il gallo era poi il piatto forte di una cena all'osteria.

Rituali analoghi si svolgevano in molte parti del Piemonte, quasi sempre nel periodo di carnevale. Nella prima metà dell’800 – con il grottesco nome di gattocheide – è documentato ad Alessandria un rito carnevalesco nel quale i giovani «fregiati di ricche divise e cavalcando fieri poledri, gareggiavano nel tagliar teste a gatti e oche tenute sospese ad una certa altezza». Molte tradizioni analoghe esistevano inoltre nell’Astigiano, nel Canavese e in altre parti delle province di Torino e Cuneo. L’animale sacrificale era in genere un tacchino o un gallo, meno frequentemente un’oca o un gatto. Spesso l’animale era appeso per le zampe ad una fune ed i giovani dovevano troncarne il capo con una sciabola, o addirittura a mani nude, muovendosi – a seconda dei casi – a cavallo, su carri trainati oppure a bordo di slitte lanciate lungo i pendii ricoperti di neve ghiacciata. Vi erano anche località nelle quali il rito si svolgeva in modo del tutto simile a quello di Curino: l’animale (tacchino o gallo) era interrato con la testa affiorante e i giovani, bendati, tentavano di decapitarlo con una sciabola, una falce messoria o una spada di legno. Ciò avveniva ad esempio a Barbania (TO), Bussoleno fraz. Argiassera (TO), Chianocco fraz. Molè (TO), Maglione Canavese (TO), San Damiano fraz. Malmolina e Tartaglini (AT), Settime d’Asti (AT), Tigliole fraz. Remondini (AT), Usseaux (TO). (tratto da qui)

Per quello che può valere come documento a corollario posso confermare che a Maglione canavese (il paese d'origine di mio padre) tra i giovani coscritti degli anni 70 ancora si mormorava di "feste del gatto" e di cotture in salmì, dando ad intendere che non era proprio lepre/coniglio il cibo contenuto nel piatto. Il ricordo del rituale era orami svanito, e si attribuiva l'uccisione dei gatti al periodo della guerra, quando la gente era povera e affamata.

Siamo nell'ambito del "sacrificio rituale" del Re -sia lo Scricciolo della tradizione panceltica o il re del pollaio, che si svolgevano in Inverno ma anche nel periodo della mietitura, in diverse regioni europee (come riportato dal Frazer nel "Ramo d'Oro") nell’ultimo covone di grano era collocato un gallo vivo, o in simulacro, per essere decapitato con un colpo di falce.
Nell'ultimo covone di grano nel Medioevo cristiano si nascondeva la bestia (lo spirito del Grano, la Vecchia), così l'animale veniva cacciato e ucciso perchè manifestazione demoniaca che avrebbe potuto rovinare il raccolto. Più anticamente era la concezione naturalistica del sacro che doveva morire per poter rinascere garantendo l'abbondanza alla comunità.

LA QUESTUA E I FALO'

La Festa di Sant'Antonio è tempo di questua rituale quando le allegre brigate di cantori e musici giravano per le campagne a fare incetta di salsicce, formaggio, uova e galline, generi alimentari donati con generosità dai contadini perchè donare significa propiziarsi, per magia simpatica, salute e soprattutto buon raccolto. I canti di Sant'Antonio sono stati tramandati in Abruzzo, Umbria, Marche, Molise e Puglia continua nel Blog Terre Celtiche 
Canti, piatti tipici, giochi ma anche falò che si accendono in tante regioni del Nord (in particolare la Lombardia) e del Sud d'Italia.
La legna per le pire in Abruzzo e Molise viene raccolta tramite donazioni, (ma anche piccoli furti) da comitati spontanei del paese e accesa alle prime ore della sera (in alcuni paesi nella notte della vigilia). A Fara Filiorum Petri (Ch.) vengono costruite come è noto a cura di ogni contrada delle enormi torce rivestite di canne secche, larghe 2 metri ed alte talvolta più di dieci, che assumono il nome di farchie. Esse vengono disposte mediante funi in posizione eretta in modo da sembrare delle possenti torri . (tratto da qui)

 

 ESCAPE='HTML'

Rimando all'accurata trattazione sulle feste dedicate al Santo qui

Ricette

In Abruzzo la festa del santo è particolarmente sentita e si preparano le panette di S. Antonio (granturco lessato), i chicchi ripassati in padella con olio e peperoncino sono mangiati con gli amici e i parenti in visita. Prima della diffusione del mais (primi decenni del Settecento) il rituale avveniva espletato mediante la cottura delle fave, la tradizione si è conservata a Pollutri dove il 16 gennaio si cucinano le fave in grossi calderoni di rame.

 Coppette di S. Antonio ( “Cöpeta”): una ricetta medievale per dei dolcetti dimenticati, prodotti a Tortona (Al) con ostie, noci e nocciole tostate, miele, zucchero
 
Chisöl: ciambella tipica di Lonato del Garda (Bs) per Sant'Antonio da qui il detto “Sant’Antonio chisoler, chi non fa el chisol ghe burla so el solèr”, ovvero “Sant’Antonio ciambellaio, chi non fa il chisol gli casca giù il solaio”. Più in generale si preparano dei dolcetti detti Tortelli di Sant'Antonio (una variente delle frittelle di mele tipiche per il Carnevale)

Li cillitte di Sand’Andonie (Uccelletti di Sant’Antonio) preparati in Abruzzo e nella provincia di Teramana 

Biscotto di Sant’Antonio   è un pane dolce, a forma di grande treccia, aromatizzato all’anice che segue un’antica ricetta di Acquapendente - Tuscia viterbese ; per augurio e per tradizione viene fatto mangiare anche agli animali

Dolci sardi  i più rappresentativi per la festa di SAnt'Antonio sono: ”Su Pistiddu”, ”Sas Cozzuleddas”, ”Sos Pirighitos”.

Struffoli Gli struffoli sono un dolce tipico della tradizione natalizia partenopea ma sono prparati anche per la festa di Sant'Antonio

Cattia Salto