Privacy Policy L'ONTANO: BIBLIOTECA CELTICA

 

Edizioni PIEMME 2007

Un corollario alla Trilogia “La spada del Druido”, “Il Regno di Conan” e “Il Guerriero di Stonehenge

 

TRAMA Un viaggio tra i fiordi del Nord, in cerca di una nave e di un tesoro per sconfiggere Hargar re dei Lochlann.

Un ennesima avventura per Conan e il suo vecchio gruppo di fedelissimi.  

I Guerrieri dei Fiordi

(Mauro Raccasi)

Raccasi non ci stupisce più per la sua abilità, (ormai indiscussa e conquistata sul campo con la pubblicazione di ben 4 libri) di calarsi in un tempo storico così lontano e frammentariamente documentato (il 1600 a.c.) e di restituircelo con tutta la vividezza e il realismo possibile!

La terra dove prende vita il racconto è la penisola scandinava dell’età del Bronzo abitata da un popolo simile a quello celta, seppur nettamente diverso, e che ha parimenti espresso una mitologia complessa, giunta intatta fino al medioevo.

Quest’ultimo romanzo non concede quasi nulla al fantasy e a quell’alone di magia che aveva permeato le precedenti vicende, qui il mistero si incentra tutto nel viaggio, un viaggio verso terre ignote, seguendo un fertile topos della letteratura celtica, l’Imram.

Imram è una parola celtica che significa viaggio, un viaggio per mare ma soprattutto un viaggio nel sé e toccherà a Conan, viaggiare nelle terre dei Lochlann (i guerrieri dei fiordi) tra coloro che da sempre avevano ridotto in schiavitù la gente del suo popolo per poi intraprendere quello ben più insidioso, nella nebbia, nel buio delle terre ancora più a Nord, nel cuore dell’Inverno. In un paesaggio che si ammanta di tutti gli incubi più temuti dai marinai del Nord (mostri veri e presunti- iceberg e balene, il kranken e il maelstom) e di eventi fantastici come l’aurora boreale, un pugno di uomini lotta per la vita contro un sole di ghiaccio, in un deserto bianco.

L’azione segue dappresso il protagonista, Conan ormai uomo maturo dai capelli diventati grigi, per amore dell’avventura e della sfida, grazie alla sua tempra e a una serie fortuita di coincidenze (o di intrecci del destino), riesce a trovare la nave fantasma e il suo prezioso bottino, e a incamminarsi verso la via del ritorno.

Tradimenti e falsità umane sono il corollario di un crudele mondo di ghiaccio, di freddo e di dolore ma Conan dopo essere stato tra la vita e la morte… riesce a ritornare, seguendo il richiamo di quelle stesse forze che fanno si che dopo il freddo e il ghiaccio dell’Inverno ritorni la Primavera! La descrizione della bella stagione che saluta il ritorno dell’eroe, (che non è altro che un uomo) un tripudio di verde e di vita, scende come balsamo nell’animo del lettore.

 

(Cattia Salto)

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Nota storica dell’autore

In un passaggio a pag. 4 del libro di Caitlin Matthews “The Celtic Tradition” (Element Books Ltd. – 1989) tradotto in italiano con il titolo “I Celti, una antica tradizione europea” (Xenia Edizioni, Milano – 1993) indagando tra le origini mitiche delle invasioni d’Irlanda, l’autrice specifica come il termine irlandese riferito ai popoli scandinavi fosse Lochlann.
Donnchadh Ó Corráin del Dipartimento di Storia dell’Università irlandese di Cork cita in un suo saggio “The Vikings in Scotland and Ireland” come svariati fossero gli appellativi riservati alle genti del nord che regolarmente invasero l’isola di smeraldo nel corso dei millenni: Lothlend, Laithlind, Laithlinn, Lochlannach, Lochlainn. Di questi la parola Lochlann risulta largamente la più usata.
Il termine risale molto addietro nel tempo, a quel periodo che data l’insediamento delle prime popolazioni nelle isole britanniche, a quell’epoca remota cui fanno riferimento i cicli mitologici delle invasioni d’Irlanda. Si trattava di popolazioni giunte da sud, i precursori dei Celti. Le stesse che costruirono il mito degli dèi primordiali Túatha Dé Dánann e delle loro lotte coi Fomorians e Fir Bòlg.
Sia pur frutto di fantasia nel dar vita ad azioni e situazioni, questo libro poggia su basi storiche e i suoi personaggi sono appartenuti alla storia o alla mitologia della tarda Età del Bronzo. Pertanto è giusto rapportarsi a loro con l’appellativo di Lochlann e non certo di Vichinghi.
Dunque bisogna un po’ intendersi. Utilizzando l’arcaico termine Lochlann, queste popolazioni vengono collocati nel corretto periodo storico. Si tratta degli stranieri Gennti, i predoni che scendevano dal nord per saccheggiare prima, colonizzare e mercanteggiare per arricchirsi poi. Erano un’etnìa con solo un abbozzo di regole sociali, che festeggiavano solo tre periodi di ricorrenze in un anno (Jol / Yule, Sigr Blot / Litha, Vetr Naetr), senza quella coesione che fa di un’accozzaglia di tribù di cacciatori o agricoltori una nazione. Erano pertanto dei proto-vichinghi, accezione che comparirà ben dopo l’Età del Bronzo, epoca invece cui si riferisce questa narrazione.
Il primo uomo di cui vi siano prove d’esistenza nella penisola scandinava fece capolino dalla profonda preistoria nella regione di Østfold, non lontano dall’attuale confine tra Norvegia e Svezia. La datazione col radiocarbonio lo fa risalire a 10.000 anni fa, quando la distesa di ghiacci iniziò a ritirarsi da quelle terre. Il punto della terraferma in cui sono state rinvenute tracce dell’accampamento era allora con ogni probabilità un’isola oltre la linea della costa. Nel 1.600 a.C., epoca che ci interessa ai fini della nostra ambientazione, i reperti mostrano un’organizzazione agricola al sud e più marcatamente di cacciatori al nord. Del resto non vi sono tracce scritte in quanto, al pari dei Celti, i Lochlann non facevano uso della scrittura, almeno sino al X sec., quando erano ormai influenzati della colonizzazione cristiana.
Anche dei termini utilizzati si ha maggiore conoscenza se riferiti ad epoche posteriori al 1.600 a.C. Non esistono documentazioni riferite a quel periodo. Per cui si può solo ‘presupporre’ ed intuire la povertà del linguaggio di allora. In alcuni casi, pertanto, l’uso di certi termini può essere cronologicamente improprio, anche se il condizionale è d’obbligo in quanto non si può neppure negare il contrario: non è detto che vocaboli riportati in epoche successive all’Età del Bronzo non fossero utilizzate anche prima di allora con sfumature di diversità. Anzi; con la conferma dello stesso ceppo linguistico è ben probabile che siano proprio ‘derivate’ da espressioni antecedenti. In questo contesto emerge un dato storico assodato: migrazioni di stirpi indo-europee si stabilirono nella penisola scandinava attorno al 4.000 a.C. muovendo dall’Asia centrale. Successivamente è proprio nella media Età del Bronzo che popolazioni proto-germaniche causarono profondi mutamenti: un’invasione che di pacifico aveva ben poco. Orde di genti presumibilmente conosciute come ‘Popolo delle Asce’ provocò un violento scontro tra civiltà: gli aggressori non avevano migrato per migliaia di chilometri senza nutrire la ferma volontà di sterminare per dominare. Ne seguì un lungo periodo di guerre, finché il ‘Popolo delle Asce’ ebbe la meglio e colonizzò i territori dell’attuale Scandinavia. Del sistema socio-culturale che vi avevano trovato ne distillarono usi e costumi più vantaggiosi, ma in linea di massima imposero i propri princìpi guerrieri. E da questi discesero i connotati dell’etnìa Lochlann prima e Vichinga poi. Anche il sistema linguistico cui ho attinto nella mia narrazione ha quindi come origine lo stesso, omogeneo periodo.
Sebbene col termine Vichinghi si riaccenda un concetto ben radicato nell’immaginario popolare per l’alone di mistero, leggenda ed avventura che li circonda, i Vichinghi propriamente detti ebbero un excursus storico relativamente breve e molto più recente. Si va infatti dalla fine dell’VIII sec. con le prime scorrerie nel sud dell’Inghilterra, al 1.066 d.C. anno della loro sconfitta ad opera di Guglielmo il Conquistatore. Pertanto ben a posteriori rispetto al periodo cui sono riferite le vicende qui narrate. Esattamente come per i Celti isolani, mi sono limitato a dare vita a personaggi della mitologia Lochlann in un contesto storico ben radicato negli animi scandinavi (anche contemporanei). E ho affrontato un argomento intrigante: lo scontro di culture che si sarebbe avuto tra queste due etnìe nel caso (e ce ne sono stati migliaia) di un confronto tra usi, costumi e tradizioni di due popoli affini, ma pur tuttavia diversi.
A questo proposito di norma i Lochlann erano gli invasori. E i Celti insulari gli schiavi deportati per colonizzare terre come Islanda (860 d.C.) e Groenlandia (982 d.C.). E’ dunque naturale affermare che i progenitori dei Vichinghi che affrontiamo in questo libro fossero molto simili ai loro discendenti nell’indole avventurosa e nell’abilità marinara.
Anche se è a questi pronipoti che vanno i meriti maggiori.
I Vichinghi raggiunsero le attuali coste francesi e s’inoltrarono nelle terre dei Sassoni. Dopo aver conquistato il Baltico, i Rus (etnìa svedese) mosse verso sud-est discendendo il Volga e il Dnepr sino al mar Nero, poi al mar Caspio e addirittura a Costantinopoli e Baghdad. Altra analogia: al pari dei Celti, anche i Vichinghi non costituirono un impero reale. Mossi dal bisogno di terre coltivabili, dalla necessità di vivere in un clima migliore, dalla sovrappopolazione, furono soprattutto un’etnìa di avventurieri del mare che portarono a compimento viaggi ed esplorazioni straordinarie. Grazie ad imbarcazioni insuperabili per quei tempi in termini di velocità, resistenza e acquaticità, con poco pescaggio adatto anche alla navigazione fluviale e la possibilità d’essere brandeggiabili, ossia caricabili in spalla per attraversare tratti di terreno. Nell’896 tale Bjarni Herjolfsson sbarcò in nord America. Fatto ancor più stupefacente fu che gli riuscì di tornare a casa, organizzando altri viaggi che segnarono anni di spedizioni per colonizzare l’attuale Terranova canadese. In soli due secoli e mezzo i Vichinghi realizzarono gesta che hanno ancor oggi dell’incredibile.
Non dissimili da quelle fiabe che sgorgavano dalle sorgenti iperboree nell’antica cultura scandinava, che narravano degli uomini delle rade, dei fieri navigatori padroni del mare quanto possono esserlo dei corsari, e delle loro gesta umane eroiche in misura pari a quelle degli dèi. Imprese che se fantasticate prima sarebbero potute sembrare sogni.
E che invece divennero storia.
(Mauro Raccasi)