Esperienza in
San Lorenzo al Caprione
Un
pomeriggio andai a San Lorenzo con
l’intento di tagliare rami nel corridoio che porta la luce
del Sole verso il quadrilite (dando vita alla farfalla dorata).
Non avevo cappello e tenevo
in mano il pennato (dialettalmente er podaesso, una sorta di machete
con la punta ricurva). Appena entrato nel corridoio fra gli alberi,
scorsi in fondo la femmina di sparviero che mi
veniva incontro, ad altezza d’uomo, volando immobile a bassa
velocità. Capii che qualcosa stava per succedere,
perché essa avanzava determinata, senza modificare rotta,
velocità ed altezza. Mi fermai, con le braccia aderenti al
corpo, tenendo il pennato aderente alla gamba destra.
L’uccello si
avvicinava sempre più, mantenendo le sue coordinate di volo,
io mantenni la posizione assunta, invaso da stupore. Senza alcuna
variazione nel suo volo l’uccello mi passò sul
capo, sfiorandomi i capelli, quei pochi che ho. Ero talmente stupito
del fatto che non osai girarmi.
Mi venne in mente allora un
episodio di alcuni decenni fa, quando avevamo fondato presso la
Pubblica Assistenza di Lerici la Sezione Ecologica. Ferveva la
battaglia ambientalista per preservare l’ambiente del
promontorio e avevamo molti nemici. Addirittura si arrivò ad
una intera pagina di uno dei due giornali locali in cui ci si accusava
di togliere il lavoro agli operai edili. Avevamo infatti preso
posizione contro la demolizione dei cavanei, le
costruzioni a tholos disseminate nel promontorio, di forma rotonda,
conservanti l’etimologia celtica (da cobhan-cabhan = luogo
rotondo). Un pomeriggio si presentarono alla Pubblica Assistenza due
persone, di cui uno certamente dipendente comunale, cacciatori, e
tirarono fuori da una borsa una femmina di sparviero da poco uccisa.
Era una provocazione. Non dissi nulla, ma quando ebbi fra le mani
l’animale feci una promessa interiore: avrei dedicato tutta
la mia vita, con tutte le mie possibili forze, affinché cose
simili non succedessero più. Non avrei mai pensato che, a
distanza di trent’anni, la risposta ad
una simile promessa, espressa con rabbia e determinazione, sarebbe
stata di una simile precisione e delicatezza.
(E. Calzolari)
Esperienza del Verrucoli
Avevo accompagnato alcuni soci
della Società Teosofica genovese a visitare i siti
megalitici delle Cinque Terre. A pomeriggio inoltrato, usciti dal passo
intagliato che mette in comunicazione il Sentiero n° 1 del CAI
con la strada comunale (in quel punto si inserisce il
tratto
sterrato che porta al Forte Bramapan, con
etimologia celtica da bram = pietra fallica ed il tratto asfaltato che
porta ai ripetitori SIP del Verrucoli) risalimmo sulle auto. La moglie
del presidente del gruppo chiese di salire con me (ero infatti solo
perché mia moglie non aveva trovato a chi affidare le due
persone ultranovantenni di famiglia) sia per stare più
comoda sia per poter continuare la conversazione. Considerata la
ristrettezza della strada, mi misi in testa al gruppo di auto. Iniziata
la discesa si presentano alcune curve e controcurve ravvicinate, dove
non è possibile lo scorrimento di due vetture che si
incrociano. Arrivati in prossimità della prima di queste
curve, suonai la tromba del mio SUV “Santa
Fé”. Appena finito di suonare una femmina di sparviero
scese da uno degli alberi sovrastanti la curva e si pose davanti alla
macchina, all’altezza del cofano, e ci fece da staffetta per
tutto il tratto della “chicane”, mantenendo la
stessa nostra velocità e la stessa distanza dal cofano!
Appena passata
l’ultima curva, risalì sull’albero
più vicino, attese che tutte le macchine fossero passate,
quindi si inoltrò nel bosco. Alla vista di tanto spettacolo,
la moglie del presidente si rivolse a me dicendomi: “Ma come,
non hai visto, non dici niente?”. Risposi: “Sono
amico della femmina dello sparviero”. Il suo stupore fu
ancora più grande, e dovetti raccontare…
(E. Calzolari)
Esperienza al sito di Cuatropuertas, Gran Canaria
Ero
col mio padrone di casa all’inizio del sentiero che porta al
sito archeologico sulla Montagna di “Cuatropuertas”
all’isola di Gran Canaria, così chiamata
perché l’uomo preistorico ha costruito una caverna
lunga 17 metri e profonda 7,5 che si apre verso nord con quattro bocche
larghe 2 metri cadauna.
Il nostro compito era di fare
un’esperienza pseudo sciamanica (la prima volta per noi) su
un punto fortemente energetico in cima alla montagna, uno di fronte
all’altro a occhi chiusi, perché avevo la forte
convinzione che quello fosse stato utilizzato dai frequentatori (ignoti
per gli archeologici tradizionali) di quell’epoca per
canalizzarsi con l’universo e comunicare con la costellazione
propria generatrice. Infatti il sito presenta incisioni multiple a
scodella che riproducono la costellazione delle Pleiadi.
Improvvisamente
sbucò da dietro la montagna un uccello verso la nostra
direzione (cioè verso nord), ma invece di raggiungerci si
fermò sospeso in aria, sulla verticale delle nostre teste,
“flappando” le ali velocemente per contrastare la
forza enorme del vento contrario che in quella zona è sempre
molto violento.
Lo sguardo
dell’uccello era rivolto in giù e dopo alcuni
minuti di questa …muta comunicazione virò verso
est sparendo alla nostra vista…..
Un segnale forte? Un saluto di
un rappresentante di quel popolo? Difficile dirlo, come anche difficile
l’identificazione dell’uccello stesso, esile come
un gabbiano, ma non gabbiano.
Facendo una ricerca sulle
Pleiadi si nota il ruolo dell’uccello Alcione nella storia e
mitologia di queste stelle: infatti la stella più luminosa
delle Pleiadi è Alcione; talvolta la si trova scritta nella
sua forma grecizzante Alcyone.
Secondo
Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) l’alcione
era un uccelletto, poco più grande di un passero, dai colori
vivaci che nidificava presso le coste marine. Sempre secondo Plinio
l’alcione si faceva vedere molto raramente; gli unici periodi
in cui era possibile osservarlo erano i solstizi, a metà
inverno e in occasione del tramonto delle Pleiadi. Il grande storico e
scienziato continua la sua descrizione affermando che gli alcioni
costruiscono i loro nidi sette giorni prima del solstizio
d’inverno e depongono le uova sette giorni dopo.
Un’altra leggenda
narra che gli alcioni erano in grado di prevedere con molto anticipo le
tempeste e che avevano la facoltà di placarle. Partendo da
queste antiche descrizioni alcuni naturalisti hanno identificato
l’alcione con il martin pescatore anche
se vi sono alcuni dubbi poiché il martin pescatore nidifica
lungo i fiumi e i torrenti e non sulle coste.
Secondo un’antica
leggenda Alcione era la figlia di Egiale (‘colei che tiene a
bada l’uragano’) e di Eolo (il custode dei venti) e
aveva sposato Ceice (‘gabbiano’), figlio della
Stella del Mattino. Erano talmente felici assieme che decisero di
chiamarsi Zeus ed Era suscitando così l’ira delle
due divinità, le quali si vendicarono scagliando una folgore
contro la nave di Ceice, partito per consultare un oracolo. Lo spirito
di Ceice apparve allora ad Alcione la quale, sopraffatta dal dolore, si
gettò in mare. Mossi da pietà alcuni dei li
trasformarono in un alcione e in un gabbiano oppure, secondo
un’altra versione del mito, in due alcioni. Alcione divenne
la figlia di Atlante e Pleione in epoca più tarda.
Tornando
alle Pleiadi, Alcione è un
interessantissimo oggetto astronomico; è infatti una
bellissima stella tripla le cui componenti sono tutte ben visibili
anche con piccoli telescopi.
Considerando queste
affermazioni resta comunque plausibile l’ipotesi che alcuni
uccelli hanno un ruolo particolare in situazioni esperienzali vicino
allo shamanismo (ricordo che il termine significa: dottrine degli
sciamani, alias “ colui che parla con gli spiriti”).
Poco tempo dopo abbiamo fatto
infatti questa esperienza-viaggio quasi shamanica, che forse
meriterebbe un altro articolo, ma comunque il ricordo di
quell’insolito amico con le ali resterà indelebile
per tutta la nostra misera vita.
(V. Di Benedetto)
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