APPROFONDIMENTO

IL SAPERE DRUIDICO

 

 

a cura del prof Enrico Calzolari

IL TOPONIMO BRAMAPAM

I Monti Branzi

 

Premessa

Nel territorio della  provincia della Spezia si riscontrano tre toponimi in “Bramapan”, che nessun glottologo ha  finora voluto studiare per il cosiddetto “principio di prudenza”, per cui non ci si può spingere al di là del periodo dominato dalla lingua latina senza cadere nel rischio di errore, per cui la scienza ufficiale è bene che non si  pronunci.

La prima obiezione, che espressi ad Augusto Cesare Ambrosi  quando ancora era direttore della Biblioteca Civica “Mazzini”, nonché era presidente della Accademia Lunigianese “Capellini”, era che non ci si poteva accontentare di questa posizione ufficiale in una terra che aveva reperti archeologici etnicamente chiari come le statue stele, che garantivano una frequentazione stabile di genti della protostoria nel territorio della Lunigiana. Qualcuno doveva quindi  assumersi l’onere di “rompere il ghiaccio” e far uscire il pesce, e se non erano gli uomini rappresentanti della cultura ufficiale a fare ciò, avrebbero dovuto farlo uomini di buona volontà, privi di condizionamenti determinati dalla arcigna difesa dei detentori del potere culturale consolidato, sempre autoreferenziantisi.

Nel presentare lo studio sui toponimi della Val Polcevera sul numero 23 del giugno 1995 della rivista etno-antropologica e linguistico-letteraria della cultura Brigasca e delle Alpi Marittime  “Il nido d’aquila” (r’ ni d’áigüra) scrivevo: “L’indagine su una valle che ha avuto uno dei primi documenti scritti su questioni di confini, e quindi di toponomastica, appare come una vera e propria scommessa, un rischio, una lastra di ghiaccio sulla quale provare a scivolare, volendo restare in piedi. La presa d’atto di come neanche il Dizionario di Toponomastica UTET, edito nel 1990 con la collaborazione di ben cinque docenti delle università di Torino, Genova, Udine e Padova, abbia voluto  trattare e risolvere alcuni fra i toponimi noti in tutto il mondo da secoli, spinge a palesare, con la massima umiltà, le proprie convinzioni, mettendole al servizio della ricerca culturale, affrontando nel contempo il rischio di essere deriso, assieme alla probabilità di fare qualche centro.”

Debbo ringraziare il direttore della rivista  Pier Leone Massajoli di aver pubblicato questa premessa nonché  la trattazione  dei relativi toponimi, suddivisi in due parti,  utilizzando anche il  successivo  numero 24. Oltre ai tre toponimi in Bramapan è presente in territorio di Lerici il toponimo Monti Branzi, che è subito parso collegabile  ai precedenti in “bram”.

 

IL TOPONIMO BRAM

L’importanza di questo toponimo è dovuto alla presenza dei seguenti elementi:

-          una grande ara o pietra altare a forma di losanga, spezzata in tre parti;

-          una pietra vulviforme del tipo orizzontale e passante;

-          una pietra fallica;

-          una grande pietra a sessola, con foro di entrata in alto e foro di uscita in basso (secondo alcuni medici e secondo alcune donne utilizzabile per il parto);

-          una grande dolina che, secondo i geologi, nella preistoria era ricca di acqua.  Secondo gli  attuali geo-biologi e rabdomanti l’acqua è ancora presente nel sottosuolo a livello di (–) 12 metri.

 

In prossimità della cava dei Branzi è stato rinvenuto “un deposito cristallino calcareo a struttura fibroso-raggiata” fatta di   concrezione alabastrina, caratterizzata da livelli a solfati, testimone di una qualche grotta probabilmente collassata”.  Queste concrezioni  sono state analizzate dal prof. Roberto Chiari dell’Università di Parma  e le acque che possono averle formate, fra il 20 000 ed il 15 000 a.C., si sono rivelate di natura simile a quelle delle acque termali di Bagni di Lucca e di Montecatini Terme. “Una recentissima analisi delle acque termo-minerali della zona della Spezia mostra inoltre come le sorgenti calde, che tuttora si trovano presso la località Stagnoni, provengano, come acque profonde, dai Monti Branzi, l’elevazione del Caprione che sovrasta il Guercio” (Brozzo G., Le acque termo-minerali del Golfo della Spezia, Luna Editore, 1998).

 

Questo elemento rafforza la identificazione del territorio dei Monti Branzi come area sacra, che poteva esser raggiunta dalle popolazioni che vivevano in basso, nella pianura costiera che esisteva davanti alla Lunigiana nel 20 000/15 000 a.C., quando il livello del mare era 110 metri più basso dell’attuale livello.

Da questa genia si è sviluppato un nuovo DNA, identificato dal professore di genetica dell’Università di Oxford  Brian Sykes come “Tara” , una delle “sette figlie di Eva”, da cui deriva il 9% della popolazione mondiale attuale,  diffusa nel Mediterraneo occidentale e nelle coste atlantiche di Inghilterra e Scozia. Lo stesso professore discende da questa genia.

 

Circa l’identificazione di un sito sacro nel toponimo  “Bramapan”, costituito dall’attuale Forte Bramapane, posto sulle alture che sovrastano Riomaggiore, si rinviene la testimonianza  di un  noto pittore macchiaiolo, pubblicata dal prof. Massimo Quaini:

 

 “… ha lasciato scritto Telemaco Signorini, a proposito della gente di Riomaggiore, che ad ogni anniversario del patrono S.Giovanni Battista si recava prima dell’alba su monte Bramapane per assistere a uno spettacolo soprannaturale: il sole, al momento di alzarsi, fa tre bellissime capriole, cangiandosi di colore,  poi si oscura tanto come fosse tornata la notte, e dopo tre ore di queste evoluzioni ripiglia il suo natural colore e il suo corso” (Quaini M., Porto Venere, il futuro del passato, Pro Loco, 1996).

 

Una simile tradizione si raccoglie anche nel Monte Antola di Genova, alla ricorrenza della festività di S.Giovanni Decollato, che cade il  29 agosto (Pucci I., Culti naturalistici della Liguria Antica, Luna Editore, 1997).

 

Questo tipo di fenomeno ottico, da me peraltro osservato sia al sorgere sul Bramapane sia al tramonto del solstizio d’estate sul Monte Quiesa (Lucca) è riportato nei resoconti delle apparizioni mariane di  fama internazionale, quali  Lourdes e  Fatima, ma è stato anche da me osservato  alla apparizione del quinquennio in Ortola di Massa.

La distinzione fra i due tipi di fenomeni è che, mentre l’osservazione della rotazione del Sole al sorgere o al tramonto deriva dalla diversa temperatura degli strati dell’aria attraversati in tangenza  dai raggi solari, la rotazione del Sole a mezzogiorno, così come riportato dalle cronache e così come da me osservato a Ortola di Massa, non ha spiegazione scientifica.

In ogni caso il racconto del pittore, inviato al fratello, docente all’Università di Bologna, contribuisce a rafforzare le osservazioni di elementi sacrali che l’orografia e la geografia ci consentono di poter sperimentare. Dalle cima del forte è possibile osservare un orizzonte di 360°, con il promontorio di Piombino (settore SSE) l’isola d’Elba (settore SSE), le isole Capraia e  Gorgona (settore Sud) la Corsica settentrionale, con Capo Corso attorno ai 200°  ed a volte anche  l’Incudine (bellissimo monte a cuspide) e proseguendo  la Provenza (attorno ai 250°/255° a seconda della rifrazione) le Alpi Marittime con il Massiccio dell’Argentera e la bellissima cuspide del Monviso a 290°, nonché   il promontorio di Portofino a 300°, sull’azimuth del tramonto al Solstizio  d’Estate.

La sacralità della costa fra Porto Venere  e Monte Capri (Cinque Terre) è indiscussa, sia per la presenza dei megaliti di Monte Grosso, sia per la presenza della pietra altare coppellata  del Persico (etimologia paleo-umbra da persklum) che presenta uno speciale allineamento sacro con la cuspide dell’isolotto Ferale (dialettalmente a gagiarda) e la cuspide del Monviso. È un vero peccato che non sia stata fatta una relazione su cosa esistesse sul Bramapane prima della costruzione del forte ottocentesco.

Purtroppo è difficile fare ipotesi sul passato,  così come è difficile giudicare l’allineamento a 266° (indicatore del tramonto equinoziale secondo l’orografia locale) fra il quadrilite di San Lorenzo al Caprione ed il trilite di Schiara (etimologia celtica da skeir) che sembra passare proprio sul sito dove doveva essere il megalite detto della Madonna, portato al Museo Civico della Spezia prima di fissarne la esatta posizione in loco.

La sacralità delle alture della costiera è inoltre accentuata dalla eccezionale testimonianza del biologo svizzero F.W.C. Trafford, che dal vicino Monte della Castellana il giorno 28.3.1869  poté osservare per cinque ore  lo spettacolo detto “Amphiorama, ou la vue du Monde des Montagnes de La Spezia. Fenomène inconnu, pour la première fois observé et decrit avec une Carte  du Continent Polaire (Zurich, Librairie Orell Fussly, 1874) cioè la visione del mondo  riflesso sul cielo, con tracciatura di una carta del polo costruita  a partire dal meridiano  locale della Spezia.

 

Si viene a determinare quindi una forte pregnanza liturgico-sacrale attorno a questo toponimo, che ha spinto ad ulteriori ricerche in territori che presentino radici etimologiche celtiche ed umbre. Ciò in termini di probabilità composte, e più precisamente  in ragione  del Teorema di Bayes  sulla sommatoria di probabilità favorevoli concernenti lo stesso oggetto.

 

In Spagna, sulla scorta di un documento dell’anno  981 (et habent terminia de porto qui dicitur Petraficta)  si è cercato nell’Alta Garrotxa. È emerso il toponimo Arza di etimologia paleo-umbra, simile al nostro Arzelato di Pontremoli, un rivo de Arzamala attestato nel 960, posto in prossimità di una stele (et pervenit ad ipsa Stela)  nonché un Arzia attestato nel 1050 (in loco qui dicunt Arzia). Sono  emersi il  toponimo Trevo (in ipso colle de Faga vel ad ipso Trevo, 1050) relativo alla divinità eugubina Trebo, il toponimo Magu, presente anche a Lerici,  il toponimo Albanya, simile al nostro Albana, la sorgente sita presso il Persico, Figueres, simile ai nostri Figarole, Figarolo  ed ai siti genovesi di Lago Figoi e Monte Ficogna (ficla + coni= offerta di torta col buco alla pietra fallica) il più alto santuario di Genova, collocato in meridiano sopra il santuario della Madonna del Gazzo (etimologia da catzum= pietra fallica) caratterizzato dalle grandi pietre bianche a forma di falli. Si è rinvenuto nel territorio di Empordà e Vallespir Orientale il toponimo celtico loop (inghiottitoio, acqua che riesce dopo essersi inabissata, come nel nostro Bocca Lupara della Spezia)  nella Cau del Llop a Vilajuïga. Analogo toponimo si è rinvenuto nel paese di Cantallops. Il toponimo eugubino per la “fossa” pero, perom, pedo, come pozzo sacro secco in cui si gettavano i resti dei sacrifici olocausti per non farli profanare dagli animali,  si ritrova nel paese di  Sant Climent Sescebes, nel sito megalitico denominato Sant d’En Peió che è del tutto simile nella finale accentata al sito di Pejò della nostra Val di Vara, collocato  presso Mangia (il luogo ove si mangiavano le carni dei sacrifici, toponimo del tutto simile al Carnea della Bassa Valle). Soprattutto si è rinvenuta l’esistenza di  uno scritto a titolo “Le vallon de Montbram”,  ove viene riscontrata la presenza di “un monument d’època cèltica” (Dòlmens I Menhirs, 111 monuments megalítics de l’Alt Empordà i Vallespir oriental, Guies del Patrimoni Comarcal, Carles Vallès, Figueres, 1988) Il Vallon de Montbram si trova nel versante francese dei  Pirenei Orientali (Rossillion) e nelle indicazione in lingua catalana è denominato “La Vall de Montbram”.  Il sito abitato è noto come Lavail ed è dominato da uno sperone di roccia (un piton rocheux qui domine le hameau). La frequentazione del sito è documentata già nel Neolitico. Così si legge in  Wikipedia a proposito di Lavail: “Le site de Lavail à été occupée dès le néolithique (presence d’un abri sous roche au dessous du hameau ayant révélé  des objets de cette époque)”. 

La presenza di un Monte Bram si ritrova nella Val Grana (vallate occitane piemontesi).

Ricercando nella toponomastica dell’Umbria, ove è facile imbattersi in toponimi di origine umbra comuni con la Lunigiana (valga per tutti la serie in persklum, quali Porto del Persico, Valle del Persico e Lama del Persico) si rinvengono i seguenti toponimi, legati al “principio della continuità del sacro” fra la preistoria, la protostoria e il  primo cristianesimo:

-          Santa Maria Bamchiscarionis o Madonna del Sasso o Madonna di Ranco Scarione o Ranco Scarione;

-          Santa Maria di Cenerente.

Questi stupendi toponimi doppi sono pubblicati alla pagina 320 del libro “Studi e ricerche sui nomi di luogo” a cura di Giovanni Moretti, Alberto Melelli e Antonio Batinti (Edizioni Era Nuova, Spoleto, 1998) e consentono di affermare il principio della continuità del sacro. Cenerente lo permette  con la glottologia latina  che  richiama il luogo delle ceneri, cioè dei sacrifici interamente bruciati, cioè gli olocausti, che in Lunigiana si ritrova sia  come Polverara (ara della polvere) sia nei numerosi toponimi in –asco di attestazione  ligure, derivanti dalla  radice ash, sanscrita, per cenere, che sta ad indicare il “pozzo sacro secco” ove si gettano le ceneri e le ossa incombuste  per non farle profanare dagli animali, che non si arrischiano ad entrarvi perché temono di non poter risalire da un buco scavato a forma di fiasco. Alcuni esempi di questi pozzi si ritrovano a Sant’Agata di Puglia ed il più spettacolare è quello sullo sperone di roccia chiamato prêta sandu linze, cioè pietra del Santo Hulenz, cioè la divinità delle Tavole di Gubbio chiamata anche Hule-Holi-Hola. Nel libro “Le tavole di Gubbio e la civiltà degli Umbri” di Augusto Ancillotti e Romolo Cerri (Edizioni Jama, Perugia, 1996) si legge a proposito di Hule: “Non è escluso che nella tradizione locale (“mediterranea”?) questa divinità avesse qualche connessione con l’obelisco o “paletto” che in umbro è stato chiamato spinia”. Questo divinità poteva essere sia maschile sia femminile, come l’etrusca Volthumna o Verthumno.

 

Il toponimo più ricco di significati per svelare l’opaco bram è però Bamchiscarionis, che va suddiviso nelle due formanti celtiche  bram + skeir (in bam si è verifica la caduta della r).

Nessun dubbio sull’etimologia di skeir   che significa masso, pietra, e che risulta attestato in Lunigiana nei toponimi Rocchette di Scornia (toponimo doppio italico e celtico relativo alla presenza di pietre) e Menhir di Schiara (anche qui doppia indicazione). Si noti come skeir sia anche rafforzato da una car, per pietra, che rende questo toponimo veramente chiaro. Se si aggiunge poi che il luogo sacro viene indicato come Madonna del Sasso, non vi può essere nessun dubbio, se non quello di persone dotate di preconcetti molto, molto interessati a sviare la ricerca. Va infatti chiarito che illustri studiosi liguri (Caprini e Petracco Sicardi)  e stranieri (Kaufmann, Föstermann) hanno finora rifiutato di riconoscere il toponimo ligure Ranzi e Ranzo  come derivato da Branzi, riconoscendolo come di origine germanica, ipocoristico (cioè diminutivo) di  Rand-soRando, nome di persona.

 

La ricerca è complessa perché studiosi spagnoli ritengono che il toponimo Bram–Eburomagus, che si trova nel territorio abitato dai Celti Cadurques=Catu-turcos=Catturques= Caturques, cioè il cinghiale che combatte (catu = combatte; turc=cinghiale; eburo=cinghiale) significhi appunto luogo del “cinghiale”. Questa è una semplice speculazione. Un tale valore semantico  non appare risolutivo per l’etimologia  dei toponimi in bram finora trovati in Lunigiana, terra assai significativa anche per la presenza celtica:

-          Bramapan;

-          Teccia di Bram-Pram;

-          Monti Branzi;

-          Val Brança (atto del Registrum Vetus del 28 maggio 1245).

Né la semantica di cinghiale appare risolutiva per i toponimi in bram che si rinvengono in Francia, a Bardonecchia e  nelle pendici del Monte Bianco, che assumono le seguenti forme:

-          Bramafan;

-          Bramapan  (Depart. Du Var);

-          Bramebiau;

-          Brameboeuf;

-          Bramefond;

-          Brameloup;

-          Bramepain;

-          Brametourte

-          Pointe de Bramanette (elevation m 2945 dans la Commune de Bramans – canton de Lanslebourg.

Il canonico Adolphe Gros, nell’esporre i suddetti  toponimi nel suo libro “dictionaire  éthimologique des noms de lieu de la savoie” (Édition des Imprimeries Réunies de Chamberry, 1982) fornisce anche richiami storici:

-          a parte montis de Braman (1338)

-          territorium de Bramano (1415)

-          ruisseau de Bramant (1405)

che non sembrano richimare   il cinghiale.

 

In ossequio alla “teoria delle isoglosse” di Vettore Pisani si dovrebbe far risalire il toponimo alla radice br che sta per altura. Si vedano in proposito le citazioni proposte da Claudio Beretta nel suo “sistema di radici preistoriche” (Beretta C., I nomi dei fiumi, dei monti, dei siti, Strutture linguistiche preistoriche, Edizioni Hoepli e del Centro Camuno di Studi Preistorici, Milano, 2007):

Brienz (br+anz) nella valle dell’Albula; Bianzone e Berbenno nell’Alta Valtellina, Bronzolo e Veran  nell’Alta Val dell’Adige.

Sembra doveroso accettare questo significato generale, o meglio non contraddirlo (da punta-altura a punta-pietra) ma in presenza di una così ricca serie di toponimi specializzati, perché doppi, quali il Brameloup (bram+loop= bram + inghiottitoio)  o il Bamchiscarionis (bram+skeir= bram+ pietra, cioè un rafforzativo come Rocchette di Scornia) non ci si può accontentare di una semantica generica, ed occorre andare alla ricerca di radici specifiche più antiche.   

 

CONCLUSIONI

 

Si scopre così che nel Sanscrito si ha la voce bhram, che fra i vari significati ha anche i seguenti:

-          to cause to move or turn round, or revolve, swing;

-          to circumambulate

che ci riconduce  anche alla voce etrusca ziri-zeri che ha dato luogo in Lunigiana al toponimo Zeri, sovrastato dalla Piana degli Ariacci, luogo ricco di elementi preistorici.

Mettendo insieme questi elementi si può ricostruire, con elevate probabilità,  che bram è:

-          il sasso, o pietra, o pitone, a forma appuntita,

-          attorno alla quale si fanno le deambulazioni sacre,

-          accanto al quale si possono fare le offerte di farinacei (apan = voce indiana per pane?) 

-          che può essere posto su un monte con ampia visibilità di orizzonte (Mont Bram),

-          che può essere posto vicino ad una sorgente o a un inghiottitoio (loop)

-          che può essere stato situato all’interno di una grotta o di un riparo di roccia (Teccia di Bram-Pram).

-           

La confusione effettuata dagli studiosi spagnoli con il cinghiale potrebbe essere agevolmente spiegata con il ricorso alla voce umbra abrof – variante apruf , il verro, cioè il cinghiale, che diviene anche abronsaprunu – abrunu, che ne assume il significato aggettivale, e che spiega mirabilmente l’appellativo  del nostro miglior vino, il Brunello di Montalcino, perché la semantica di cinghiale e di leccio ci fa capire che questo vino  viene prodotto in un territorio ricco di cinghiali, perché ricco di piante di leccio (Monte Elcino, elce=leccio) che producono molte ghiande, di cui i cinghiali sono ghiotti!

 

Attraverso la documentazione fornitaci dagli studiosi umbri (Ranco Scarione = sasso) si arriva anche a capire che l’origine del toponimo Ranco-Ranzo può essere fatta risalire alla stessa radice che ha dato luogo a  Branz-Branzi, anche se successivamente può essere slittata a forme derivate da un nome di persona.

 

 (Prof. Enrico Calzolari 2008)