Nel presentare lo studio sui toponimi della Val
Polcevera sul numero 23 del giugno 1995 della rivista etno-antropologica e
linguistico-letteraria della cultura Brigasca e delle Alpi Marittime “Il nido d’aquila” (r’ ni d’áigüra) scrivevo: “L’indagine
su una valle che ha avuto uno dei primi documenti scritti su questioni di
confini, e quindi di toponomastica, appare
come una vera e propria scommessa,
un rischio, una lastra di ghiaccio sulla quale provare a scivolare, volendo
restare in piedi. La presa d’atto di come neanche il Dizionario di
Toponomastica UTET, edito nel 1990 con la collaborazione di ben cinque
docenti delle università di Torino, Genova, Udine e Padova, abbia voluto trattare e risolvere alcuni fra i
toponimi noti in tutto il mondo da secoli, spinge a palesare, con la
massima umiltà, le proprie convinzioni, mettendole al servizio della
ricerca culturale, affrontando nel contempo il rischio di essere deriso,
assieme alla probabilità di fare qualche centro.”
Debbo ringraziare il direttore della rivista Pier Leone Massajoli di aver pubblicato
questa premessa nonché la
trattazione dei relativi toponimi,
suddivisi in due parti, utilizzando
anche il successivo numero 24. Oltre ai tre toponimi in Bramapan è presente in territorio di
Lerici il toponimo Monti Branzi, che è subito parso collegabile ai precedenti in “bram”.
IL TOPONIMO BRAM
L’importanza di questo toponimo è dovuto alla presenza
dei seguenti elementi:
-
una grande ara o pietra altare a forma di
losanga, spezzata in tre parti;
-
una pietra vulviforme del tipo orizzontale e
passante;
-
una pietra fallica;
-
una grande pietra a sessola, con foro di
entrata in alto e foro di uscita in basso (secondo alcuni medici e secondo
alcune donne utilizzabile per il parto);
-
una grande dolina che, secondo i geologi,
nella preistoria era ricca di acqua.
Secondo gli attuali
geo-biologi e rabdomanti l’acqua è ancora presente nel sottosuolo a livello
di (–) 12 metri.
In prossimità della cava dei Branzi è stato rinvenuto “un deposito cristallino calcareo a
struttura fibroso-raggiata”
fatta di “concrezione alabastrina, caratterizzata da livelli a solfati,
testimone di una qualche grotta
probabilmente collassata”. Queste
concrezioni sono state analizzate
dal prof. Roberto Chiari dell’Università di Parma e le acque che possono averle formate,
fra il 20 000 ed il 15
000 a.C., si sono rivelate di natura simile a quelle
delle acque termali di Bagni di Lucca e di Montecatini Terme. “Una recentissima analisi delle acque
termo-minerali della zona della Spezia mostra inoltre come le sorgenti
calde, che tuttora si trovano presso la località Stagnoni, provengano, come acque profonde, dai Monti Branzi,
l’elevazione del Caprione che sovrasta il Guercio” (Brozzo G., Le acque termo-minerali del Golfo
della Spezia, Luna Editore, 1998).
Questo elemento
rafforza la identificazione del territorio dei Monti Branzi come area sacra,
che poteva esser raggiunta dalle popolazioni che vivevano in basso, nella
pianura costiera che esisteva davanti alla Lunigiana nel 20 000/15 000 a.C., quando il
livello del mare era 110
metri più basso dell’attuale livello.
Da questa genia si è sviluppato un nuovo DNA,
identificato dal professore di genetica dell’Università di Oxford Brian Sykes come “Tara” , una delle
“sette figlie di Eva”, da cui deriva il 9% della popolazione mondiale
attuale, diffusa nel Mediterraneo
occidentale e nelle coste atlantiche di Inghilterra e Scozia. Lo stesso
professore discende da questa genia.
Circa l’identificazione di un sito sacro nel toponimo “Bramapan”, costituito dall’attuale Forte Bramapane, posto sulle alture
che sovrastano Riomaggiore, si rinviene la testimonianza di un
noto pittore macchiaiolo, pubblicata dal prof. Massimo Quaini:
“… ha lasciato scritto Telemaco
Signorini, a proposito della gente di Riomaggiore, che ad ogni anniversario
del patrono S.Giovanni Battista si recava prima dell’alba su monte
Bramapane per assistere a uno spettacolo soprannaturale: il sole, al
momento di alzarsi, fa tre bellissime capriole, cangiandosi di colore, poi si oscura tanto come fosse tornata la
notte, e dopo tre ore di queste evoluzioni ripiglia il suo natural colore e
il suo corso” (Quaini M., Porto
Venere, il futuro del passato, Pro Loco, 1996).
Una simile
tradizione si raccoglie anche nel Monte Antola di Genova, alla ricorrenza
della festività di S.Giovanni Decollato, che cade il 29 agosto (Pucci I., Culti naturalistici
della Liguria Antica, Luna Editore, 1997).
Questo tipo di fenomeno ottico, da me peraltro osservato
sia al sorgere sul Bramapane sia al tramonto del solstizio d’estate sul
Monte Quiesa (Lucca) è riportato nei resoconti delle apparizioni mariane
di fama internazionale, quali Lourdes e
Fatima, ma è stato anche da me osservato alla apparizione del quinquennio in Ortola
di Massa.
La distinzione fra i due tipi di fenomeni è che, mentre
l’osservazione della rotazione del Sole al sorgere o al tramonto deriva
dalla diversa temperatura degli strati dell’aria attraversati in
tangenza dai raggi solari, la
rotazione del Sole a mezzogiorno, così come riportato dalle cronache e così
come da me osservato a Ortola di Massa, non ha spiegazione scientifica.
In ogni caso il racconto del pittore, inviato al
fratello, docente all’Università di Bologna, contribuisce a rafforzare le
osservazioni di elementi sacrali che l’orografia e la geografia ci
consentono di poter sperimentare. Dalle cima del forte è possibile
osservare un orizzonte di 360°, con il promontorio di Piombino (settore
SSE) l’isola d’Elba (settore SSE), le isole Capraia e Gorgona (settore Sud) la Corsica
settentrionale, con Capo Corso attorno ai 200° ed a volte anche l’Incudine (bellissimo monte a cuspide) e
proseguendo la Provenza (attorno ai
250°/255° a seconda della rifrazione) le Alpi Marittime con il Massiccio
dell’Argentera e la bellissima cuspide del Monviso a 290°, nonché il promontorio di Portofino a 300°,
sull’azimuth del tramonto al Solstizio
d’Estate.
La sacralità
della costa fra Porto Venere e Monte
Capri (Cinque Terre) è indiscussa, sia per la presenza dei megaliti di
Monte Grosso, sia per la presenza della pietra altare coppellata del Persico (etimologia paleo-umbra da persklum) che presenta uno speciale
allineamento sacro con la cuspide dell’isolotto Ferale (dialettalmente a gagiarda) e la cuspide del
Monviso. È un vero peccato che non sia stata fatta una relazione su cosa
esistesse sul Bramapane prima della costruzione del forte ottocentesco.
Purtroppo è difficile fare ipotesi sul passato, così come è difficile giudicare
l’allineamento a 266° (indicatore del tramonto equinoziale secondo
l’orografia locale) fra il quadrilite di San Lorenzo al Caprione ed il
trilite di Schiara (etimologia celtica da skeir) che sembra passare proprio sul sito dove doveva essere
il megalite detto della Madonna, portato al Museo Civico della Spezia prima
di fissarne la esatta posizione in loco.
La sacralità delle alture della costiera è inoltre
accentuata dalla eccezionale testimonianza del biologo svizzero F.W.C.
Trafford, che dal vicino Monte della Castellana il giorno 28.3.1869 poté osservare per cinque ore lo spettacolo detto “Amphiorama, ou la vue du Monde des Montagnes de La Spezia. Fenomène
inconnu, pour la première fois observé et decrit avec une Carte du
Continent Polaire (Zurich, Librairie Orell Fussly, 1874) cioè la
visione del mondo riflesso sul
cielo, con tracciatura di una carta del polo costruita a partire dal meridiano locale della Spezia.
Si viene a determinare quindi una forte pregnanza liturgico-sacrale attorno a questo toponimo,
che ha spinto ad ulteriori ricerche in territori che presentino radici
etimologiche celtiche ed umbre. Ciò in termini di probabilità composte, e
più precisamente in ragione del Teorema di Bayes sulla sommatoria di probabilità
favorevoli concernenti lo stesso oggetto.
In Spagna, sulla scorta di un documento dell’anno 981 (et
habent terminia de porto qui dicitur Petraficta) si è cercato nell’Alta Garrotxa. È
emerso il toponimo Arza di
etimologia paleo-umbra, simile al
nostro Arzelato di Pontremoli, un rivo
de Arzamala attestato nel 960,
posto in prossimità di una stele (et
pervenit ad ipsa Stela) nonché
un Arzia attestato nel 1050 (in loco qui dicunt Arzia). Sono
emersi il toponimo Trevo (in ipso colle de Faga vel ad ipso Trevo, 1050)
relativo alla divinità eugubina Trebo, il toponimo Magu, presente anche a Lerici, il toponimo Albanya, simile al nostro Albana, la sorgente sita presso il Persico, Figueres, simile ai nostri Figarole, Figarolo ed ai siti genovesi di Lago Figoi e Monte
Ficogna (ficla + coni= offerta di torta col buco alla
pietra fallica) il più alto santuario di Genova, collocato in meridiano
sopra il santuario della Madonna del Gazzo (etimologia da catzum= pietra fallica)
caratterizzato dalle grandi pietre bianche a forma di falli. Si è rinvenuto
nel territorio di Empordà e Vallespir Orientale il toponimo celtico loop (inghiottitoio, acqua che
riesce dopo essersi inabissata, come nel nostro Bocca Lupara della Spezia) nella Cau del Llop a Vilajuïga. Analogo toponimo si è rinvenuto nel paese di
Cantallops. Il toponimo eugubino
per la “fossa” pero, perom, pedo, come pozzo sacro secco in cui si gettavano i resti dei
sacrifici olocausti per non farli profanare dagli animali, si ritrova nel paese di Sant Climent Sescebes, nel sito
megalitico denominato Sant d’En Peió che è del tutto simile nella finale accentata
al sito di Pejò della nostra Val di Vara,
collocato presso Mangia (il luogo
ove si mangiavano le carni dei sacrifici, toponimo del tutto simile al
Carnea della Bassa Valle). Soprattutto si è rinvenuta l’esistenza di uno scritto a titolo “Le vallon de Montbram”, ove viene riscontrata la presenza di “un monument d’època cèltica” (Dòlmens I Menhirs, 111 monuments
megalítics de l’Alt Empordà i Vallespir oriental, Guies del Patrimoni
Comarcal, Carles Vallès, Figueres, 1988) Il Vallon de
Montbram si trova nel versante francese dei
Pirenei Orientali (Rossillion) e nelle indicazione in lingua
catalana è denominato “La
Vall de Montbram”.
Il sito abitato è noto come Lavail ed è dominato da uno sperone di
roccia (un piton rocheux qui domine
le hameau). La frequentazione del sito è documentata già nel Neolitico.
Così si legge in Wikipedia a
proposito di Lavail: “Le site de
Lavail à été occupée dès le néolithique (presence d’un abri sous roche au
dessous du hameau ayant révélé des
objets de cette époque)”.
La presenza di un Monte Bram si ritrova nella Val Grana
(vallate occitane piemontesi).
Ricercando nella toponomastica dell’Umbria, ove è facile
imbattersi in toponimi di origine umbra comuni con la Lunigiana (valga per
tutti la serie in persklum, quali
Porto del Persico, Valle del Persico e Lama del Persico) si rinvengono i
seguenti toponimi, legati al “principio della continuità del sacro” fra la
preistoria, la protostoria e il
primo cristianesimo:
-
Santa
Maria Bamchiscarionis o Madonna
del Sasso o Madonna di Ranco
Scarione o Ranco Scarione;
-
Santa
Maria di Cenerente.
Questi stupendi toponimi doppi sono pubblicati alla
pagina 320 del libro “Studi e
ricerche sui nomi di luogo” a
cura di Giovanni Moretti, Alberto Melelli e Antonio Batinti (Edizioni Era Nuova, Spoleto, 1998) e consentono di
affermare il principio della continuità del sacro. Cenerente lo
permette con la glottologia
latina che richiama il luogo delle ceneri, cioè dei
sacrifici interamente bruciati, cioè gli olocausti, che in Lunigiana si
ritrova sia come Polverara (ara
della polvere) sia nei numerosi toponimi in –asco di attestazione
ligure, derivanti dalla
radice ash, sanscrita, per
cenere, che sta ad indicare il “pozzo sacro secco” ove si gettano le ceneri
e le ossa incombuste per non farle
profanare dagli animali, che non si arrischiano ad entrarvi perché temono
di non poter risalire da un buco scavato a forma di fiasco. Alcuni esempi
di questi pozzi si ritrovano a Sant’Agata di Puglia ed il più spettacolare
è quello sullo sperone di roccia chiamato prêta sandu linze, cioè pietra del Santo Hulenz, cioè la
divinità delle Tavole di Gubbio chiamata anche Hule-Holi-Hola. Nel libro “Le tavole di Gubbio e la civiltà degli Umbri” di Augusto
Ancillotti e Romolo Cerri (Edizioni
Jama, Perugia, 1996) si legge
a proposito di Hule: “Non è escluso
che nella tradizione locale (“mediterranea”?) questa divinità avesse
qualche connessione con l’obelisco o “paletto” che in umbro è stato
chiamato spinia”. Questo divinità poteva essere sia maschile sia
femminile, come l’etrusca Volthumna o Verthumno.
Il toponimo più ricco di significati per svelare l’opaco
bram è però Bamchiscarionis, che va suddiviso nelle due formanti
celtiche bram + skeir (in bam
si è verifica la caduta della r).
Nessun dubbio sull’etimologia di skeir che significa masso, pietra, e che risulta
attestato in Lunigiana nei toponimi Rocchette di Scornia (toponimo doppio
italico e celtico relativo alla presenza di pietre) e Menhir di Schiara
(anche qui doppia indicazione). Si noti come skeir sia anche rafforzato da una car, per pietra, che rende questo toponimo veramente chiaro. Se
si aggiunge poi che il luogo sacro viene indicato come Madonna del Sasso,
non vi può essere nessun dubbio, se non quello di persone dotate di
preconcetti molto, molto interessati a sviare la ricerca. Va infatti
chiarito che illustri studiosi liguri (Caprini e Petracco Sicardi) e stranieri (Kaufmann, Föstermann) hanno
finora rifiutato di riconoscere il toponimo ligure Ranzi e Ranzo come derivato da Branzi, riconoscendolo come di origine germanica, ipocoristico
(cioè diminutivo) di Rand-so – Rando, nome di persona.
La ricerca è complessa perché studiosi spagnoli
ritengono che il toponimo Bram–Eburomagus,
che si trova nel territorio abitato dai Celti
Cadurques=Catu-turcos=Catturques= Caturques, cioè il cinghiale che combatte
(catu = combatte; turc=cinghiale; eburo=cinghiale) significhi appunto luogo del “cinghiale”.
Questa è una semplice speculazione. Un tale valore semantico non appare risolutivo per
l’etimologia dei toponimi in bram finora trovati in Lunigiana,
terra assai significativa anche per la presenza celtica:
-
Bramapan;
-
Teccia
di Bram-Pram;
-
Monti
Branzi;
-
Val
Brança (atto del Registrum Vetus del 28 maggio 1245).
Né la semantica di cinghiale appare risolutiva per i
toponimi in bram che si
rinvengono in Francia, a Bardonecchia e
nelle pendici del Monte Bianco, che assumono le seguenti forme:
-
Bramafan;
-
Bramapan
(Depart. Du Var);
-
Bramebiau;
-
Brameboeuf;
-
Bramefond;
-
Brameloup;
-
Bramepain;
-
Brametourte
-
Pointe de Bramanette (elevation m 2945 dans la Commune de Bramans – canton
de Lanslebourg.
Il canonico Adolphe Gros, nell’esporre i suddetti toponimi nel suo libro “dictionaire éthimologique des noms de lieu de la
savoie” (Édition des Imprimeries Réunies de Chamberry, 1982) fornisce anche
richiami storici:
-
a
parte montis de Braman (1338)
-
territorium
de Bramano (1415)
-
ruisseau
de Bramant (1405)
che non sembrano richimare il cinghiale.
In ossequio alla “teoria
delle isoglosse” di Vettore Pisani si dovrebbe far risalire il toponimo
alla radice br che sta per altura.
Si vedano in proposito le citazioni proposte da Claudio Beretta nel suo
“sistema di radici preistoriche” (Beretta
C., I nomi dei fiumi, dei monti, dei siti, Strutture linguistiche preistoriche, Edizioni
Hoepli e del Centro Camuno di Studi Preistorici, Milano, 2007):
Brienz (br+anz)
nella valle dell’Albula; Bianzone e Berbenno nell’Alta Valtellina, Bronzolo
e Veran nell’Alta Val dell’Adige.
Sembra doveroso accettare questo significato generale, o
meglio non contraddirlo (da punta-altura a punta-pietra) ma in presenza di
una così ricca serie di toponimi specializzati, perché doppi, quali il Brameloup (bram+loop= bram + inghiottitoio) o il Bamchiscarionis
(bram+skeir= bram+ pietra,
cioè un rafforzativo come Rocchette di Scornia) non ci si può accontentare
di una semantica generica, ed occorre andare alla ricerca di radici
specifiche più antiche.
CONCLUSIONI
Si scopre così che nel Sanscrito si ha la voce bhram, che fra i vari significati ha
anche i seguenti:
-
to cause to move or turn round,
or revolve, swing;
-
to circumambulate
che ci riconduce
anche alla voce etrusca ziri-zeri
che ha dato luogo in Lunigiana al toponimo Zeri, sovrastato dalla Piana
degli Ariacci, luogo ricco di elementi preistorici.
Mettendo insieme questi elementi si può ricostruire, con
elevate probabilità, che bram è:
-
il sasso, o pietra, o pitone, a forma
appuntita,
-
attorno alla quale si fanno le deambulazioni
sacre,
-
accanto al quale si possono fare le offerte
di farinacei (apan = voce indiana
per pane?)
-
che può essere posto su un monte con ampia
visibilità di orizzonte (Mont Bram),
-
che può essere posto vicino ad una sorgente
o a un inghiottitoio (loop)
-
che può essere stato situato all’interno di
una grotta o di un riparo di roccia (Teccia di Bram-Pram).
-
La confusione effettuata dagli studiosi spagnoli con il
cinghiale potrebbe essere agevolmente spiegata con il ricorso alla voce
umbra abrof – variante apruf , il verro, cioè il cinghiale,
che diviene anche abrons – aprunu – abrunu, che ne assume il
significato aggettivale, e che spiega mirabilmente l’appellativo del nostro miglior vino, il Brunello di
Montalcino, perché la semantica di cinghiale e di leccio ci fa capire che
questo vino viene prodotto in un
territorio ricco di cinghiali, perché ricco di piante di leccio (Monte
Elcino, elce=leccio) che producono molte ghiande, di cui i cinghiali sono
ghiotti!
Attraverso la documentazione fornitaci dagli studiosi
umbri (Ranco Scarione = sasso) si arriva anche a capire che l’origine del
toponimo Ranco-Ranzo può essere
fatta risalire alla stessa radice che ha dato luogo a Branz-Branzi,
anche se successivamente può essere slittata a forme derivate da un nome di
persona.
(Prof. Enrico Calzolari 2008)
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