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RITI DI PRIMAVERA

CANTÈ J'EUV NEL BASSO PIEMONTE

cante_j_euv.jpgIl rito di questua delle uova, più spiccatamente pasquale è quello piemontese di CANTÈ J'OV - CANTÈ J'EUV. Il "cantare le uova" è una questua primaverile che affonda le radici nel territorio piemontese e in particolare quella terra storicamente appartenuta al dominio dei Marchesi del Monferrato e nelle Langhe.

Un tempo erano solo i giovani del paese, che di notte giravano tra le cascine chiedendo cibo, vino e anche dei soldi con cui organizzare il pranzo del lunedì di Pasquetta. Era l'occasione per fare scorpacciate di uova (simbolo di fertilità) e bisboccia, ma anche di cantare e suonare tanta musica!

 

Molte comunità mantengono ancora vive queste tradizioni soprattutto nel Monferrato (geografico), nelle Langhe e nel Roero.

Nel paese di Romagnese (PV), l'unico che ha conservato un ciclo pasquale nel territorio delle quattro province, la questua si svolge la sera del sabato Santo, influenzato dall'uso di "cantar le uova" nell'alessandrino.

 

LA QUESTUA QUARESIMALE DELLE UOVA

Hieronimus_Bosch_IL_CONCERTO_NELL_UOVO_XVI_sec.jpg Nella settimana di Pasqua dopo il tramonto, un gruppo di giovani partiva a piedi dal paese, capitanati da un falso fraticello elemosiniere e andava vagando per la campagna di cascina in cascina, a chiedere le uova in cambio di una canzone benaugurale. Una gogliardica mescolanza di sacro e profano memore di rituali ancor più antichi, quando si credeva che la terra avesse bisogno di essere ridestata dal sonno dell'inverno! La visita era funzionale anche al ripristino delle convivialità interrotte durante l'inverno, quando il freddo e la neve isolavano la comunità dentro alle rispettive abitazioni. I prodotti ricavati dalla questua sarebbero serviti per imbandire un pranzo comunitario il lunedì dell'Angelo (Pasquetta) o più prosaicamente a riempire la pancia dei questuanti che evidentemente non se la passavano molto bene economicamente.

La canzone era una specie di filastrocca in dialetto piemontese: “Suma partì da nostra , ca i-era n’prima seira, per venive a salutè, devè la bun-ha seira...” (Siamo partiti dalle nostre case che era da poco sera, per venirvi a salutare e darvi la buona sera). Questo l’inizio. Poi seguivano altre strofe, molte altre strofe, in cui si invitava il padrone di casa a uscire e consegnare un po’ di uova. Il padrone il più delle volte usciva per davvero, magari assonnato nel primo sonno,con i pantaloni ancora in mano, e faceva scivolare una dozzina d’uova in una cesta portata a braccio da uno strano figuro, il fratucìn (che era poi nient’altro che un ragazzo vestito da frate). Dunque succedeva di tutto un po’ in quei cortili di cascina illuminati solo dalla luna, quando c’era: i cantori cantavano, il padrone, o la padrona, di casa per lo più stava al gioco e, dopo essersi fatta attendere un po’, si affacciava all’uscio con le uova in mano, quindi potevano accadere molte cose: che i cantori ringraziassero, sempre con il canto, la padrona per poi riprendere il cammino verso un’altra cascina, oppure che il padrone di casa, ormai ben desto, facesse entrare in casa o in cantina i ragazzi, offrendo loro un bicchiere di buon vino rosso e tagliando il salame fatto in casa. Erano rare le volte in cui il padrone di casa non voleva proprio saperne di uscire: in quei casi i ragazzi se ne andavano maledicendo la cascina e i suoi abitanti, in particolare gli animali e il raccolto. (tratto da qui)

Per quanto i versi fossero improvvisati c'erano delle strofe "pronte all'uso" da adattare alla famiglia presso la quale si cantavano le uova (una buona parola per le vedove, un complimento per la padrona e per le belle figlie), a cui seguivano le strofe benaugurali per la salute delle persone e delle bestie della cascina, la prosperità dei raccolti e l'arrivederci al prossimo anno. A discrezione del padrone di casa ai giovani veniva offerto pane e salame, un bicchiere di vino e le ragazze da marito spiavano i giovanotti stando dietro l'uscio, eppure i giovanotti più intraprendenti riuscivano a corteggiare la ragazza prescelta, un gioco di sguardi alla finestra, un bigliettino o un fiorellino, ma anche un oggetto più personale come un fazzoletto potevano passare rapidamente di mano, e forse nella confusione generale qualcuno riusciva a scambiarsi un bacio. Ma se le luci restavano spente e gli abitanti della casa facevano finta di dormire, allora si cantavano le strofe delle maledizioni e si arrivava anche alla vendetta.

 

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RITO PROPIZIATORIO?

Ovviamente si, come tutte le questue rituali del mondo contadino strettamente connesse con il ciclo calendariale dell'anno agricolo. Le uova sono simboli di rinascita è la primavera risorgente, e attraverso il dono ci si propizia la salute e soprattutto un buon raccolto, è la cosiddetta "magia simpatica" o più precisamente imitativa. E' significativo che i questuanti vadano in giro a notte inoltrata, a "risvegliare" gli abitanti delle cascine con il canto: il simbolismo è evidente, il lungo sonno invernale è terminato, è arrivata l'ora di rimettere in circolo le forze racchiuse nella promessa di un uovo, il seme della vita che ricomincia a germinare.

Significativa la presenza della luna piena a illuminare la notte perchè Pasqua cade proprio quando c'è la prima luna piena dopo l'equinozio di primavera, ovvero la seconda luna piena dell'anno agrario, è la luna delle gemme e quello che si celebra con la questua delle uova è una specie di festino in onore alla dea ovvero alla terra ma anche alla Luna che con i suoi raggi ha potere su ciò che sulla terra vive e si riproduce. La figura del frate del resto è chiaramente fittizia, un contentino alla Chiesa visto che la questua si svolgeva durante i riti pasquali, perchè i questuanti erano in realtà portatori di uno spirito benefico, più antico del dio cristiano.

In Langa la questua pasquale era vietata alle donne (andare per la campagna in piena notte con dei giovanotti focosi e chiaramente un po' alticci?) che avevano l'occasione di svolgere la loro questua a Maggio. vedi

LA TRADIZIONE OGGI

La tradizione si era praticamente estinta quando nel 1965 uno sparuto gruppetto di musicisti volle riproporla: Antonio Adriano con il "Gruppo spontaneo di Magliano Alfieri" da Magliano Alfieri e il "Brun" dei Brav'om da Prunetto fecero da detonatori e da allora la tradizione non si è più interrotta.

Oggi la questua è come si suole dire "defunzionalizzata" ma è stata riproposta a partire dal 2000 nel Roero come una sorta di Festival/Manifestazione denominata Cantè j'euv Roero: in pratica già a partire da genneio/febbraio i singoli gruppi musicali questuano nel loro paese e poi partecipano alla kermesse finale ricca di spettacoli, canti e danze. L'intento è quello di promuovere turisticamente i piccoli centri delle provincie di Cuneo, ma anche di Asti e d'Alessandria. Così il rito si è trasformato in sagra popolare e in una sorta di "rappresentazione" del mondo contadino.

LA QUESTUA DI CASAL CERMELLI

La questua delle uova veniva praticata a Casal Cermelli nella sera del sabato santo da un gruppo di musicanti che partivano da Rocca Grimalda (Alto Monferrato) all'inizio della Quaresima sostando ogni sera in località diverse (la pratica sembra essere stata avviata all'inizio del '900). Oggi la questua inizia già di venerdì, e i cantori (giovani di ambo i sessi, ma anche gli anziani del paese) si spostano su un carro tirato dal trattorino, mentre il sabato sera vede i musicanti, composti per lo più dal locale gruppo Calagiubella, ritrovarsi nella piazza principale del paese a suonare attorno al falò. Sebbene i ruoli sociali si siano per lo più modificati e le famiglie di contadini siano ben poche rispetto a quelle visitate durante la questua, in quelle due notti si rinsalda e ritualizza l'appartenenza del singolo alla comunità locale basandola sulla terra, sul lavoro della terra e i frutti di questo lavoro.

 

ASCOLTA Vincenzo "Chacho" Marchelli accompagnato all'organetto (com'era l'usanza di un tempo) e da una brigata di allegri musicanti, peccato che la registrazione sia un po' alla buona

 

ORIGINALE PIEMONTESE
In questa casa, gentil casa, ui sta dra brava gente:
l'han senti' cante` e sune` e l'han visca` lo chiaro.

In questa casa ui sta dra gent tant cumplimentosa:
l'ha senti` cante` e sune` e a se l'e` nascosa.

E dem di ovi, dem di ovi dir voster galeini
chi m'on dic i vostr auzei chi n'ei dir cassi peini!

E dem di ovi, dem di ovi dra galeina griza
chi m'on dic i vostr auzei chi i teni intra camiza! (1)

E dem di ovi, dem di ovi dra galinetta neigra
chi m'on dic i vostr auzei chi _ ra(2) seira!

E dem di ovi, dem di ovi dra galeina bianca
chi m'on dic i vostr auzei ch'l'e` tit u di' ch'la canta!

E adess chi m'ei dac j ov nui a v'ringrasioma
se in'autr ani a soma al mond nuiatri a riturnoma.(3)

 

TRADUZIONE ITALIANO
In questa casa, una casa ospitale, ci sta della brava gente,
hanno sentito cantare e suonare e hanno acceso la luce.

In questa casa ci sta della gente molto complimentosa,
hanno sentito cantare e suonare e non si sono nascosti.

Datemi le uova, datemi le uova delle vostre galline,
che i vostri vicini mi hanno detto ne avete piene le casse.

Datemi le uova, datemi le uova della vostra gallina grigia,
che i vostri vicini mi hanno detto tenete nella camicia.

Datemi le uova, datemi le uova della vostra gallinella nera, che i vostri vicini mi hanno detto … fino a sera

Datemi le uova, datemi le uova della vostra gallina bianca,
che i vostri vicini mi hanno detto canta tutto il giorno.

E adesso che mi avete dato le uova, noi vi ringraziamo
se il prossimo anno siamo ancora vivi, ritorneremo.

 

NOTA
(1) modo di dire che significa tenere in palmo di mano, accudire con molta attenzione
(2) Non si capisce cosa dice Chacio e anche la trascrizione è lacunosa, credo che la frase sia scurrile. La strofa è anche sostituita con
O se voli dene d’ov
De la galìnha neira
i-è pasàiè Carlevè
sumà la primavèira

(O se volete darci delle uova della gallina nera, è passato Carnevale, siamo alla primavera)
(3) espressione tipica nei canti di questua nei quali i cantori danno "l'arrivedersi" e sanciscono così la volontà di mantenere una consuetudine dura a morire

Le varianti di questo canto prevedono anche la richiesta di altri beni di conforto al posto delle uova

e s’in vóri nènt dém d’ióv démi ina galéina
o diŗ pöu e du salàm o diŗ böu vij d’cantéina

(e se non volete darmi le uova, datemi una gallina

o due salami e del buon vino di cantina)

 

Cestino_Uova.pngA TAVOLA

LA FRITTATA D'ERBETTE

Cosa mettere con le uova, se non le erbette fresche appena spuntate: le punte giovani d'ortica e il fiore di tarassaco appena spuntato, la profumata melissa e la mentuccia selvatica; il luppolo selvatico appena scottato, i fiori d'acacia e le unte di meliloto.

 

GALINA GRISA

OLTREPÒ PAVESE

La questua rituale pasquale si svolge anche nel paese di Romagnese (provincia di Pavia, alta Val Tidone) nella sera del sabato santo. I cantori (i giovani ma anche gli anziani) si dividono in squadre che compiono diversi percorsi per tutte le cascine e frazioni del territorio comunale. Accompagnati da una fisarmonica cantano le strofe benauguranti della "gallina grigia" in cambio delle uova. Un tempo il rituale era il pretesto per raggranellare qualche lira e fare baldoria con il vino comprato vendendo le uova e per mangiare una frittata per la Pasqua.

La questua è però inserita in un ciclo pasquale con la processione del cristo (rappresentato da un uomo incappucciato) che porta la croce il giovedì, la processione della statua del Cristo morto il venerdì sera che segue un itinerario prefissato per la valle mentre ardono alti i falò sulle colline.

 

Si stralcia da "Il ciclo pasquale di Romagnese e la Galina griza" qui

Scritto da Paolo Ferrari e Claudio Gnoli con la collaborazione di Alessandro Castagnetti

Un testo del canto e la notazione musicale sono riportati in uno studio dedicato al paese di Enrico e Milla Crevani [Romagnese e la sua storia, la Nazionale, Parma 1970]. Citelli e Grasso [1987] hanno registrato alcuni cantori delle frazioni che ne eseguono qualche strofa, e riportano che "in passato tutte le quaranta frazioni di Romagnese riuscivano ad organizzare una propria squadra di questuanti; le compagnie si ritrovavano una settimana prima di Pasqua per decidere il percorso e per provare la canzone". Nel 2005 il gruppo Voci di confine, comprendente diversi elementi della zona di Romagnese, ha inciso un'esecuzione dell'intero canto nel suo secondo disco, intitolato appunto "La galena grisa". È interessante osservare che il loro giovane leader, Paolo Rolandi, abbia fatto molta fatica a convincere i cantori ad eseguire il canto per il disco: a loro infatti la cosa sembrava fuori luogo, perchè la Galina griza si canta solo a Pasqua!

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« Süza süza, ghchì 'l galante(1)
de la vostra galina griza.
E la negra, e la bianca
püra che la canta (bis)…

 

Osserviamo che il rifiuto di un'offerta ai cantori era un tempo stigmatizzato con molta durezza, cosa che oggi non avviene quasi più se non con accenni benevoli e poco insistenti. D'altra parte va detto che nei tempi della povertà contadina, la questua non aveva solo una funzione simbolica, come avviene oggigiorno, ma rappresentava la possibilità di consumare un buon pasto nutriente dopo il periodo di ristrettezze della Quaresima. Cosí scrivono i Crevani nel testo citato:

"I menestrelli ricevevano una volta, in cambio della gratuita serenata, molte uova, che, cotte in una gigantesca frittata, venivano consumate poi in allegra baldoria alla fine del giro. [...] E guai se qualcuno si arrischiasse a fare il sordo o a non svegliarsi! Tutta la notte sentirà sbraitare sempre più forte il consueto ritornello... con qualche variante:

In co dell'orto ghfiorí la rama,
dentro dentro questa casa gh'è la gente grama
Se la padrona non mi da il cocon
crapa la ciosa e tüt i so [ciuson]
"

 

NOTE
1) il galante è il gallo, che evidentemente un tempo i cantori se lo portavano dietro durante la questua.

 

ASCOLTA
In co de l'orto ghfiorí la fava,
dentro dentro in questa casa c'è la gente brava [bis].
E se lei la sarà brava
la mi darà le uova [bis].
E dami delle uova
della vostra gallina [bis].
In co de l'orto ghfiorí la rosa,
dentro dentro questa casa c'è la mia morosa [bis].
In co de l'orto ghfiorí la vessa,
dentro dentro questa casa c'è la mia belessa [bis].
Met la scala al casinôt,
öv dei a vot a vot [bis],
meta la scala a la cascina,
öv dei a la ventina [bis],
La luna, la luna cavalca i monti
questa l'è l'ora di fare i conti...
e una micca e una rubiöla
la farízam föra [bis]!
E ch'la ma scüza sciura padrona
sa l'um cantà da spresia [bis],
la cantrum mej dal vegn indré
suta la sua finestra [bis].

 

FONTI
Tutti in festa: antropologia della cerimonialità di Laura Bonato


http://www.cantejeuv.com/cenni_storici.html
http://www.vecchiopiemonte.it/storia/curios_stor/uova.htm
http://myblog.langood.it/2010/12/07/cante-jeuv-la-questua-delle-uova/
http://www.prolococasalcermelli.it/plcc/in-evidenza/details/37-cante-jov?pop=1&tmpl=component
http://www.agrispesa.it/territorio/cantare-uova-sere-quaresima
http://blog.frazionesantanna.com/?p=760
http://langhe.net/7562/cante-jeuv-festa-cantar-uova/
http://www.amicicastelloalfieri.org/antonio_it.html
http://www.scriverefotografare.com/2013/05/e-dateci-le-uova-della-gallina-grigia.html

http://www.sebastianus.org/wp-content/uploads/2014/04/Etnografia-5.pdf

 

 

(Cattia Salto aprile 2015)

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