GLI STRUMENTI MUSICALI DEGLI ANTICHI CELTI

L’archeologia ci conforta con scarsi ritrovamenti nei paesi di area celtica databili a partire dal VII sec a.C. raffiguranti musicisti che suonano durante i banchetti funebri o accompagnano le danze cerimoniali o sfilano in processione: flauti e aulos doppi sono predominanti, come pure la lyra omerica.
Nella situla della Certosa (Bologna, VI° sec a.C.) sono raffigurati molto chiaramente un suonatore di flauto di pan (detto anche siringa) e uno di cetra o lyra. In Grecia la lyra prendeva nome di khitara quando si trattava di uno strumento più complesso e come dire "professionale", e la si vede raffigurata in molti vasi. 

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Così i primi bardi non conoscevano l'arpa ma più sicuramente uno strumento che possiamo considerare l'antenato dell'arpa. La statuetta in pietra di Paule raffigura proprio un antico bardo dell’età del Ferro, con indosso il caratteristico torques a tamponi e nelle mani una lyra a 7 corde, è stata ritrovata in Bretagna (in Cote-d'Armour - Francia) ed è datata alla fine II° sec a.C. e il sempre citato Diodoro Siculo ci assicura che i bardi del I secolo a.C.cantavano accompagnandosi con uno strumento a corde.
Le fonti ci appaiono così scarse e lacunose, con un grosso "buco" dal V sec d.C. fino per l'appunto ai primi secoli della nuova era, concomitanti con l'espansione dell'impero romano verso le terre del Nord! Così alcuni studiosi ipotizzano un influsso mediterraneo (ovvero marcatamente greco-romano) sulla musica dei Celti, e ironizza Maurizio Stefanini "fu Giulio Cesare a portare le cornamuse agli highlanders "Infine la cornamusa, termine che in epoca rinascimentale e barocca viene affibbiato alla più antica zampogna: dal greco symphÿnia e/o dall’aramaico sumpopiniah, ma comunque dal Mediterraneo. Nel III secolo a.C. alla zampogna dedicò un poema l’alessandrino Teocrito, con una serie di versi di lunghezza decrescente, a riprodurre visivamente il disegno dello strumento. E nel I secolo a.C. fu un virtuoso di zampogna, oltre che di lira, l’imperatore Nerone, secondo quanto ci riferiscono Svetonio e Dione Crisostomo. Non vi è certezza, ma molti ritengono che i legionari romani marciassero al suono delle zampogne, proprio come i reggimenti di highlanders dell’esercito britannico moderno. Insomma, le zampogne ai celti le portò Cesare! «Com’è ovvio, sono le zampogne i rappresentanti della famiglia di flauti di canna più frequentemente associati con i celti del periodo finale», conferma Megaw. Ebbene, «come per tutti i flauti di canna dell’Europa settentrionale e occidentale, l’evoluzione delle zampogne va ricollegata a un’origine e diffusione dai Balcani e dal Mediterraneo orientale, ma non si hanno documenti preistorici e archeologici indicativi di un loro uso in Occidente prima del Medioevo». In Scozia le prime testimonianze risalgono al XV secolo, anche se riferiscono di una loro importanza simbolica che fa pensare a un’ampia diffusione medievale. Ma le bande di cornamuse oggi simbolo della Scozia risalgono anch’esse, come i tartan dei kilt, al XIX secolo, e a quell’opera di “invenzione della tradizione” studiata da Trevor-Ropert." (tratto da La musica dei druidi che incantò la destra di Maurizio Stefanini Ideazione di gennaio-febbraio 2006 qui)

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AULOS E LAUNEDDAS

Le launeddas della Sardegna hanno origini preistoriche e rimandano al tempo dei Megaliti. 
Forse alcune primitive raffigurazioni di suonatori vogliono rappresentare proprio questo strumento del tutto simile ai flauti doppi dell'antichità. Le canne però sono tre e di diversa lunghezza. Il bronzetto dell'illustrazione è stato ritrovato a Ittiri (ora conservato al Museo Nazionale di Cagliari) ed è datato al VII-VI sec a.C. Il musicista è vistosamente eccitato così la musica probabilmente era connessa a rituali di fertilità.

Per suonare le launeddas occorre mettere in azione la respirazione circolare in quanto è la bocca stessa a fungere da sacca d'aria, l'aria accumulata nelle guance viene sempre rinnovata dall'inspirazione dal naso ed insufflata lentamente nelle canne. "Sono uno strumento musicale della preistoria sarda, unico nel suo genere nella tipologia universale degli strumenti arundìnei, viene ancora usato, anzi sta conoscendo un momento di grande fortuna. È fatto di canna, composto da tre corpi chiamati mancosa, mancosedda, tumbu o basciu.
 La canna più lunga e più grossa, su tumbu, funge da bordone e fornisce un’unica nota continua. Il tubo di media grandezza è la canna melodica, fissata al tumbu e suonata con la mano sinistra (le due canne unite si chiamano croba). La minore delle tre canne (mancosedda o destrina) è tenuta libera e suonata con la destra.
"(Salvatore Dedola  continua)

Prosegue il Dedola nel suo "Radici e semantica delle parole sarde, rivisitate mediante i dizionari delle lingue mediterranee (lingue semitiche, lingue classiche). Laboratorio linguistico, di storia e di cultura sarda a Biella": Non si riuscirà mai a rendere giustizia a questo straordinario strumento se non abbandoniamo l’asfittica aiuola linguistica del cosiddetto indoeuropeo per indagare tra le lingue semitiche. Prima ancora, siamo obbligati ad abbandonare uno stereotipo ancora più nefasto, quello che obbliga a vedere Roma come “madre e fomentatrice” delle lingue neolatine, la conditio-sine-qua-non della nascita delle lingue medievali e moderne nel Mediterraneo. E dire che già Dante Alighieri nel De Vulgari Eloquentia ricordava che il latino è una lingua artificiale, imposta nelle curie ma non carnale al volgo, mentre soltanto il Volgare è la lingua ereditata dalle genti fin dal primo balbettio dell’Umanità..

Anche i Babilonesi, ovviamente, parlavano l’Ursprache sardo-mediterranea. Infatti è dall’archivio babilonese (un’arcaica lingua sepolta ed oggi riesumata) che abbiamo conferma dell’antichissimo termine sardo-mediterraneo, composto da laḫu ‘mascella, bocca, ganascia’ + nīlu‘ingolfamento, riempimento, allagamento’ = ‘allagamento delle guance’. Se invece assumiamo come originario il termine liuneddas (usato nel ‘700-‘800), allora la base etimologica è l’antico accadico le’um ‘competenza nel fare, padronanza di un’arte’ + nīlu ‘ingolfamento, riempimento, allagamento’: in composto genitivo le’um-nīlu ‘padronanza, arte di ingolfare, riempire, allagare’ (le gote).
Quindi launeḍḍas è un composto copulativo indicante le due sequenze, le modalità con le quali è suonato lo strumento, cioè gonfiando le gote ininterrottamente e spingendo l’aria attraverso le labbra (prendendo il respiro dal naso). Oppure è un composto genitivo dov’è indicata la maestria nel gonfiare le guance. L’uno e l’altro composto sono una sineddoche, ch’estende al nome dello strumento il nome della tecnica per sonarlo.
In Gallura e in Logudoro ancora per tutto l’Ottocento (ed ancora oggi) le launeḍḍas sono chiamate truveḍḍi, trueḍḍi, la cui base etimologica è il sum. dur ‘crepa, fenditura’ + ellum ‘song’; il composto dur-ellum significò in origine ‘(canna) che canta dalle fenditure (dai fori prodotti)’: parola veramente arcaica.
In altre contrade sarde le launeḍḍas sono ancora dette bídulas, la cui base etimologica è l’akk. itû ‘vicino, contiguo’ (tutto un programma), di cui bìdulas risulta essere un aggettivale in -la.

(Salvatore Dedola  tratto da qui)

LA MUSICA DEI BARDI

Si possono trovare tracce della musica bardica solo a partire dal Medioevo, rifacendosi alla tradizione culturale e musicale orbitante intorno ai clan di Scozia e Irlanda. Anche il Galles è rimasto ancorato a una profonda tradizione bardica: il gallese Taliesin visse nel VI secolo, ed è in pratica il più antico poeta britanno di cui siano sopravvisute alcune opere, anche se in manoscritti medievali del X-XII secolo.

Alcune delle slow air più antiche possono riecheggiare le musiche alle soglie del medioevo, ma solo in pochissimi casi si sono conservate (grazie alla tradizione orale) anche le parole in gaelico. Si rimanda in tal senso alla documentazione e archiviazione portata avanti nel BLOG TERRE CELTICHE 

Per un approfondimento più specifico sullo strumento dei bardi e le sue sonorità, ovvero la lyra (o khitara) prima e l'arpa bardica poi si rimanda a http://ontanomagico.altervista.org/arpa-celtica.html

I CORNI DA GUERRA!

Più numerose le documentazioni di vari strumenti “ad uso bellico” quali  corni animali e le trombe celtiche dette più precisamente carnyx, un curioso strumento a fiato dalla lunga canna (dalle dimensioni di un uomo) culminante nel muso di un animale, con il quale i guerrieri celti producevano un forte clangore. Si sono ritrovati anche corni dritti con padiglione svasato o con canneggio curvilineo (tipico delle isole britanniche  e dei corni irlandesi dell'età del bronzo.
'Hanno trombe di natura particolare e di tradizione barbara; infatti, quando vi si soffia dentro, emettono un suono aspro, appropriato al tumulto di guerra'. (Diodoro Siculo)

Si sono trovati vari frammenti di tali corni in bronzo, ottone e anche in terracotta, finchè nel 2004 a Tintignac in Francia sono state riportate alle luce ben 5 teste di carnyx molto ben conservate (4 a testa di cinghiale e 1 di serpente). Nell’iconografia si riporta chiaramente anche il modo di suonare lo strumento, tenuto verticalmente in modo che il suono viaggi da più di 3 metri di altezza. Anche l’imboccatura è come quella di una moderna tromba.

Diversi artigiani di varie parti d’Europa hanno riprodotto i carnyx e così ancora oggi è possibile riascoltare il loro suono basso e profondo, simile al digeridoo, udibile anche a notevoli distanze.